«Il socialismo e il comunismo sembrano sistemi appetibili perché escludono il conflitto e la competizione e si basano sul presupposto che ci sia accordo unanime sugli obiettivi da raggiungere. Ma è come confondere il desiderio di giornate assolate con l’obbligo per le donne di indossare sempre il bikini. Il socialismo funziona con gente perfetta, il capitalismo con gente imperfetta: è meglio indossare un bikini quando splende il sole piuttosto che un impermeabile quando piove, ma non è una ragione per non portare mai con sé l’ombrello».
Così scriveva David Friedman nella sua opera più famosa L’ingranaggio della libertà, pubblicato in Italia da Liberilibri. David, ospite in Italia dell’Istituto Bruno Leoni per la conferenza «Diritto senza Stato», è un filosofo libertario figlio del premio Nobel per l’economia Milton Friedman, il più strenuo difensore dell’economia di mercato del dopoguerra, l’economista che ha profondamente rinnovato il mondo accademico e che ha preparato intellettualmente il terreno alle rivoluzioni liberali di Margareth Thatcher e Ronald Reagan.
La crisi economica è colpa dei libero mercato? La tesi predominante è che le banche hanno approfittato dell’eccessiva deregolamentazione.
«Una delle cause della crisi finanziaria è stata che il governo americano per molto tempo ha fatto pressione sulle banche affinché elargissero mutui a gente che probabilmente non sarebbe stata capace di ripagarli. Sia i repubblicani che i democratici erano convinti che fosse giusto per il Paese che ognuno fosse proprietario di una casa. Purtroppo non si sono limitati a fare pressioni sull’industria bancaria, che è uno dei settori più regolamentati dell’economia, ma hanno creato due agenzie, Fannie Mae e Freddie Mac, che sono diventate gli attori dominanti del mercato. La garanzia del governo non ha fatto altro che incentivare gli attori a prendere rischi più grandi fino a che la bolla è scoppiata».
E la crisi europea? È una diretta conseguenza della crisi statunitense?
«In Europa la situazione è leggermente diversa: alcuni Paesi sono molto indebitati e sono costretti a pagare interessi alti agli investitori che temono di non riavere indietro i loro soldi. Sfortunatamente il governo americano sta cercando di emulare gli europei accumulando grossi deficit negli ultimi anni».
La maggior parte delle forze politiche si dice contraria a proseguire politiche di tagli alla spesa e di austerity…
«Non mi pare che qualcuno di questi governi abbia tagliato la spesa, neanche gli Stati Uniti lo hanno fatto: lo Stato spende molti più soldi di quanti ne spendeva 10 anni fa, sia per colpa di Bush che dell’amministrazione Obama. Si può perseguire una politica di austerity attraverso più tasse o attraverso minore spesa pubblica, la verità è che i governi spendono molti più soldi di quanto dovrebbero. Negli Usa, ma penso anche in Italia, quando si parla di terribili tagli alle spese non vuol dire che il governo l’anno prossimo spenderà meno di quest’anno, ma che ridurrà l’aumento di spesa che aveva previsto. Nel corso degli anni la spesa pubblica è sempre aumentata».
Eppure la maggior parte dei commentatori attribuisce la crisi ad un fallimento del libero mercato.
«In Italia si diceva “Piove, governo ladro”, ora succede l’opposto, si dà sempre la colpa al mercato. La verità è che noi non abbiamo un libero mercato: le società moderne sono qualcosa a metà tra capitalismo e socialismo ed è per questo motivo che molte cose non vanno per il verso giusto».
L’Italia ha una grossa spesa pubblica, tasse elevate, un immenso debito pubblico e un’alta evasione fiscale.
Suo padre dichiarò che l’evasione ha salvato l’Italia «sottraendo ingenti capitali al controllo delle burocrazie statali», le forze politiche ritengono invece che sia proprio l’evasione una delle cause della crisi del nostro Paese, lei cosa ne pensa?
«Ma 30 anni fa c’era la stessa evasione e non c’era una crisi, giusto? Dopotutto il mercato nero è stata una delle ragioni per cui l’Unione sovietica non è crollata prima».
Secondo lei non è un problema che parte dell’economia sfugga al controllo dello Stato?
«Mi pare che il problema sia che qualche parte dell’economia sia sotto il controllo dello Stato».
Lei crede che sia possibile una società senza Stato, cioè che ogni bene o servizio possa essere prodotto da enti o agenzie in concorrenza fra loro. In cosa il suo pensiero si differenzia da quello di suo padre?
«Penso che una società senza governo probabilmente funzioni ma potrebbe non farlo, mentre lui pensava che probabilmente non funzioni ma potrebbe farlo».
*Link all’originale: http://www.brunoleoni.org/nextpage.aspx?codice=12169
Lavorare tutta la vita per mantenere uno Stato sprecone e scroccone,è davvero deprimente.Dovremmo tutti andare via da questo paese e lasciarlo in mano agli stranieri,i quali vengono quì sapendo che anche senza lavoro,lo Stato li mantiene grazie alle tasse,,,altro che servizi.Siamo l”Arca di Noè del mondo,ma l,Arca è troppo carica e sta per affondare ……
Con tutto il dovuto rispetto per MIlton Friedman, trovo che sia perlomeno azzardato definirlo “il più strenuo difensore dell’economia di mercato del dopoguerra”. Richiedendo l’intervento dello Stato in quello che lui defnisce “monopolio tecnico”, nella fissazione del tasso di interesse (a suo parere la crisi del ’29 era dovuta al fatto che la Federal Reserve non aveva aumentato a sufficienza la massa monetaria), nell’emissione di moneta (legale); propondendo non solo il ricorso allo Stato per la redistribuzione delle risorse (reddito minimo garantito) ma favorendo l’idea che tale reditribuzione fosse un “diritto”; essendo a favore dell’intervento statale nel caso di esternalità a prescindere da questioni di principio; concependo la concorrenza come una situazione (quella corrispondente alla cosiddetta concorrenza perfetta) invece che come un legittimo processo di scoperta; soprattutto non mettendo minimamente in discussione l’idea astratta di legge su cui si basa il totalitarismo, cioè il positivismo giuridico (non scordiamoci che, come dice Leoni, il libero mercato non può esistere se il processo legislativo è centralizzato da parte delle autorità), Friedman non può certo essere considerato “il più strenuo difensore del libero mercato” e da alcuni non è nemmeno considerato un difensore del libero mercato ma uno “statalista” (Rothbard).