Da un’idea geniale di quel portento del liberalismo che risponde al nome di Mariastella Gelmini è nata la proposta bipartisan, approvata definitivamente ieri in Senato, di obbligare i pulzelli d’Italia allo studio dell’inno. Attenti! Presentat-arm! Pereppeppè! Lo Stato gronda patriottismo, l’anticamera di quel nazionalismo che anziché guardare alla “società aperta” di matrice popperiana insegue un autarchismo spinto, cieco, delimitato da simboli e feticci considerati inviolabili.
In un articolo di Ron Holland, che ho citato nel mio ultimo libro, a proposito di patriottismo si legge: “Mi dico sempre: quest’anno canterò l’inno, non è una grande fatica, lo fanno tutti. La canzone verrà annunciata e tutti, me compreso, si alzeranno. Prenderò il testo come l’anno scorso, ma nessun suono uscirà dalla mia bocca. La mia famiglia mi guarderà storto, ci sarà qualche risatina dietro di me e le mie figlie mi bisbiglieranno: sei matto! Ma non potrò aiutarle. Alla fine, l’inno terminerà e mi siederò velocemente sulla panca come un anno fa. Perché non riesco a celebrare il 4 luglio o cantare l’inno nazionale? Sono un orgoglioso americano del sud e c’è molto della storia americana di cui vado fiero. Mi piacerebbe commemorare il 4 luglio 1776, quando il Congresso continentale si riunì a Filadelfia e proclamò la Dichiarazione di indipendenza delle 13 colonie. Tutti sappiamo come comincia: «Quando, nel corso degli umani eventi, si rende necessario ad un popolo di progredire da quello stato di subordinazione in cui era fino ad allora rimasto ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale mutamento»”.
Ron Paul, un cristallino libertario texano, non la pensa in modo diverso dal suo compatriota: “I primi patrioti Americani erano quegli individui così coraggiosi da resistere con la forza al potere oppressivo di Re Giorgio. Io accetto la definizione di patriottismo come lo sforzo di resistere al potere oppressivo dello Stato. Il vero patriota è motivato da un senso di responsabilità, e dall’interesse non solo per sé stesso, ma anche per la sua famiglia e per il futuro del suo paese, a resistere all’abuso di potere del governo. Egli rifiuta l’idea che patriottismo debba significare obbedienza allo Stato. La resistenza non deve essere violenta, ma la disobbedienza civile che potrebbe essere necessaria include il confronto con lo Stato e teoricamente il carcere. Le rivoluzioni non-violente contro la tirannia sono state di successo esattamente quanto quelle che hanno incluso il confronto militare. Mahatma Gandhi ed il Dr. Martin Luther King Jr. hanno conseguito grandi successi politici praticando la non-violenza, tuttavia loro stessi hanno sofferto fisicamente per opera dello Stato. Ma sia se la resistenza contro i tiranni del governo sia violenta o no, lo sforzo di sovvertire l’oppressione dello Stato merita in entrambi i casi la definizione di puro patriottismo”.
I due americani di cui sopra hanno del patriottismo un’idea assai nobile, un’idea che richiama alla ricerca della libertà e della felicità di jeffersoniana memoria, non alla sottomissione al potere costituito, non alla lobotomizzazione del cittadino, che per il parlamento italico deve apprendere, al contrario, ad essere suddito sin dalla tenera infanzia .
Persino Natalino Balasso, un comico sui-generis, ha avuto modo di rimbrottare rispetto alla pelosa richiesta di far cantare a tutti l’inno nazionale italiano, non di rado vezzeggiato – invece – da un suo collega di palcoscenico: “Ho sempre trovato vacuamente retorico l’inno di Mameli, non per il buon Mameli, che era anche tanto giovane e quindi giustificabile, ma perché qualunque inno è necessariamente retorico. Ora che lo canta Benigni non vedo perché dovrei cambiare idea. Se poi dovessimo cantarlo tutto intero, ci sarebbero anche strofe a dir poco imbarazzanti per chi crede nella democrazia. […] L’orgoglio è un sentimento pericoloso, non vedo perché dovrei sentirmi orgoglioso di essere italiano, quando questo dovrebbe significare che preferisco essere italiano invece di francese o lèttone o curdo o israeliano o americano. Mi sarebbe indifferente appartenere a qualsiasi nazionalità, perché ritengo che l’amor patrio sia una cosa vuota oltre che pericolosa. E in fondo non è da questo che nascono le guerre? Non è dagli inni nazionali? Non è dallo stringiamoci a coorte? Dalle bandiere? Quando al telegiornale danno notizia di un disastro o di un attentato all’estero, si affrettano a dire che fra le vittime non vi sono italiani. Ma, fatte salve le preoccupazioni degli eventuali parenti delle vittime, per quale motivo dovrei sentirmi sollevato se fra centinaia di morti non ci sono italiani? Non sono morti gli altri? C’è da dispiacersi meno se i morti non parlavano la nostra lingua? Rispondere alla retorica della Lega con una retorica ancor più vecchia non mi sembra cosa utile. No, Benigni che canta l’inno nazionale non mi commuove affatto e a dire il vero mi preoccupa una sinistra che sembra rispondere alla mancanza di moralità e all’arroganza dei governanti con un bigottismo cieco o una vacua retorica”.
Eppure, coloro che oggi hanno il coraggio di opporsi a leggi o a tasse liberticide vengono spesso additati come “antipatriottici”. I sostenitori di uno Stato potente ed arrogante, al punto da imporre la “diseducazione civica” in classe, sono riveriti e coccolati. Causa la paura di essere etichettati come “antipatriottici”, spesso si finisce per diventare servili e, ancor di più, complici di uno Stato malfattore, delinquenziale, canaglia. I libertari come il sottoscritto sono contro l’interventismo statale, contro la guerra in primis, che si pavoneggia con vessilli come i tricolori e gli inni mameliani, orpelli di un passato che – se studiato al netto dei sussidiari imposti dai ministeri dell’istruzione (riecco comparire la Gelmini) – scopriremmo essere gli stendardi di un regime di massacratori “garibaldeschi”, che hanno imposto l’unità col ferro, col fuoco, col sangue, con la truffa e col furto.
Ripeto sempre a mio figlio: “La mia patria è la mia famiglia. La mia nazione, invece, tutte quelle persone con cui mi trovo bene, indipendentemente dai confini”. Il 17 marzo dell’anno prossimo, quando dovrà essere celebrata in tutte le scuole di ordine e grado – ope legis – la prima “giornata dell’unità nazionale”, mi prenderò un giorno di ferie per andarmene in gita con lui. “Il patriottismo – scriveva Samuel Johnson – è l’ultimo rifugio dei mascalzoni”. Non oso immaginare cosa avrebbe detto se avesse conosciuto gli onorevoli italiani, in particolare la ex ministra che ha proposto la vaccata di cui sopra.
La Gelmini è orgogliosa di aver introdotto la materia “Cittadinanza e Costituzione”, ma è passata alla “storia recente” per aver gioito della costruzione di un fantomatico tunnel di centinaia di chilometri per far correre i neutrini tra Ginevra e il Gran Sasso. Anziché dei neutrini avrebbe dovuto occuparsi dei neuroni e verificare se nella sua capoccia ne è stata avvistata una qualche traccia.
*Link all’originale: http://www.lindipendenza.com/inno-gelmini-unita-facco
Per chi ha figli: stampare e distribuire questo pezzo.
E fate finta di non accorgervi quando li beccate a bigiare: dovreste essere fieri di vederli fuggire da quelle assurde prigioni ideologiche che si chiamano scuola.
Grazie Facco.
A parte che strofe come queste le trovo pericolosamente razziste ed antieuropee.
Un po’ come se i tedeschi di oggi continuassero a dire “Dio maledica gli inglesi”.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Io cerco di farmi un’opinione di questa classe politica o meglio cerco di riuscire a capire che cosa gli passa veramente per la testa.
E non è semplice
A volte pare che siano totalmente scollegati dalla realtà.
altre volte che gli manchi la materia grigia
A volte come in questo caso sembra che cerchino di provocare una reazione scomposta se non addirittura violenta.
Non sono nazionalista, ma credo che in questo momento chi lo sia ( e nel privato ognuno ne ha il diritto) dovrebbe avere più che altro risentimento verso chi di fatto ha commissariato se non addirittura eliminato la nostra sovranità nazionale e la nostra libertà
Caro Riccardo,rispetto le tue ragioni, ma io, se proprio dovessi scegliere un’epoca e un governo per il territorio dove sono nato e vivo, nel caso in cui non mi fosse data facoltà di andarmene altrove, sceglierei il Settecento e Maria Teresa d’Austria. Il Teatro alla Scala, dove si sarebbero consumati tanti riti risorgimentali – e per il quale conservo un grande amore-odio – fu costruito sotto gli auspici dell’ illustre sovrana, anche se chi oggi presiede alle “prime” nel palco d’onore forse non lo sa o vorrebbe dimenticarlo.E la mia patria ideale, quella dove starei bene, è la dolce Salzburg, il cui figlio più illustre riscosse proprio nella Milano austriaca alcuni dei suoi primi successi(componendo tra l’altro un’opera su libretto di Giuseppe Parini). Riconosco che anche questi sono miti intrisi di romanticismo, ma sono miei, solo miei, non li voglio imporre a nessuno. Il vero guaio è quando questo ciarpame romantico si attribuisce ideologicamente a un popolo, e nel suo nome si costruiscono Stati nazionali:gli “Stati sovrani armati” invisi a uino scrittore oggi misconosciuto, Carlo Cassola. Così fu nell’Ottocento, così vorrebbero fare gli indipendentisti di oggi. Nuove bandiere, nuovi territori, nuovi confini, nuovi tributi, nuovi inni da cantare a scuola con la mano sul cuore, magari nuove guerre.Che dire? Errare humanum est, perseverare diabolicum…
Sfortunatamente, viviamo in un’Europa ed in un mondo di patrioti. E senza un minimo di patriottismo per la propria Nazione che, si badi bene, non significa e non deve significare asservimento al potere di stato, finiremo per essere dominati da altri stati e da altri poteri. Non ci dimentichiamo che per quasi mille e quattrocento anni abbiamo fatto i servi a francesi, spagnoli, tedeschi, austriaci e chi più ne ha più ne metta. Personalmente scelgo la libertà, ma se proprio devo essere suddito, preferisco esserlo di uno che appartiene a quella che ancora considero casa mia: l’Italia.
Grande Facco!
Non bisogna però dimenticare che i sentimenti patriottici in qualche modo esistono eccome, e non sono quelli imposti dall’autorità statale.
Tutti noi proviamo un certo amore, un certo affetto per i posti dove siamo nati e cresciuti, e non mi riferisco all’ItaGlia sia chiaro, ma alle nostre direi aree geografiche dove abbiam vissuto, siano esse il Veneto, l’Umbria o la Sicilia, o comunque anche aree non ufficiali come il Salento, la Ciociaria, l’irpinia, il Monferrato o la Brianza.
Quello che bisognerebbe fare è smetterla di rendere il patriottismo come uno stupido asservimento al potere di turno. Ciò può essere fatto solo in un modo, distinguendo ciò che è il territorio (la nostra terra, le persone a noi care che ci abitano, i luoghi a noi cari) dallo Stato inteso come colui che amministra questo territorio.
Io posso esser orgoglioso della mia terra, ma non per questo giustificare chi la amministra, o la sua arretratezza economica o altro.
Da qui l’inno di mameli non è espressione del territorio italiano (che cmq non esiste, in quanto io credo che un identità patriottica di territorio possa crearsi solo in aree più ristrette e non nella vasta ed eterogenea penisola italiaca) ma è un vanto dello Stato italiano e di chi questa penisola, con tutti i popoli che la costituiscono, ha governato!
Le persone che credono nella patria dovrebbero imparare questo concetto, c’è differenza tra l’amore romantico per i posti dove sei nato ed il rispetto per l’autorità vigente. Altrimenti sarebbe come dire che si deve rispettare il boss mafioso che controlla un territorio per rispettare il territorio stesso.
Da qui l’esser patriottici veri siglifica anche lottare per liberare il proprio territorio dal padrone sfruttatore di turno!
Quindi Facco ha ragione su tutta la linea.
@FABRIZIO DALLA VILLA
Certamente questa riforma ci renderà curiosi di molte cose. Io ad esempio voglio vedere cosa accadrà in Alto Adige o nei fieri comuni Padani.
17 marzo 2013 non è domenica?
ma, scusa, non sei contento che vogliano imporre l’inno nazionale?
La cosa ha un suo significato ben preciso: stanno cercando di arrivare almeno al 155° compleanno della creatura.
In pratica: essi si rendono conto della debolezza del collante che tiene unita la penisola.
Tuo figlio so che è stonatissimo, per cui lo dispenseranno presto dall’esercizio di tale meraviglioso dovere civico.
E pensare che questi stronzi che oggi fanno i patrioti, quando sfilavamo con il tricolore negli anni ’80 ci davano dei fascisti. Sono proprio in ritardo di 30 anni sulla storia
Ciao a tutti. Da quando anche gli sportivi lo cantano, è più facile da imparare, e ciò a prescindere da eventuali imposizioni. Sono curioso di sapere come si comporteranno con i figli di immigrati. Canteranno anche loro l’inno, potendo quindi vantare la cittadinanza italiana, o saranno esentati?