Un’interessante notizia che rimbalza da ottobre è quella relativa al bilancio dell’INPS e al suo disavanzo stimato per l’anno 2012. Attualmente si parla di più di 10 miliardi di euro in rosso. Ciò a causa del disastroso bilancio dell’ente pensionistico dei lavoratori pubblici (ex INPDAP), il quale deve confluire in quello dell’INPS, così come disposto nella manovra finanziaria di fine 2011.
Infatti l’INPDAP, nel 2012, scaricherà nel bilancio dell’INPS quasi 6 miliardi di deficit. Per completezza si riporta che nel 2011 l’INPS chiuse il suo bilancio con un avanzo di circa 41 miliardi e che l’ENPALS (l’ente previdenziale dei lavoratori dello spettacolo) confluirà anch’esso nell’INPS, apportando però un avanzo di circa 3,4 miliardi.
Le cause del deficit dell’INPDAP non riguardano la questione che lo stato abbia semplicemente evaso il versamento dei contributi dovuti, bensì proprio nella disfunzione originaria del sistema pensionistico italiano. Infatti, con la riduzione degli impiegati pubblici (ossia i lavoratori attivi) e il conseguente mancato turnover con i lavoratori andati in pensione, è successo che le entrate INPDAP fossero sempre di più inferiori rispetto alle erogazioni delle prestazioni previdenziali.
Inoltre è interessante apprendere che la gestione fallimentare della previdenza dei lavoratori pubblici si sia perpetuata, nell’ultimo decennio, anche da un punto di vista meramente contabile, a causa della possibilità concessa per legge, esclusivamente per lo Stato, di trasformare i contributi previdenziali che questi doveva versare all’ente pensionistico, in anticipazioni di tesoreria all’ente.
In altre parole, un debito dello Stato è strato trattato contabilmente come se fosse un credito che esso vanterebbe nei confronti dell’ente previdenziale, così da riuscire a nascondere agli occhi del mondo il più grave stato di salute del bilancio pubblico italiano. Per un qualsiasi soggetto privato, un’operazione del genere si chiama falso in bilancio. Si sarebbe finiti dentro! Ma nel caso dello stato, ingiustizia vuole che nessuno si possa ritenere responsabile e che nessuno finisca al fresco per questo dolo.
Ma quest’ultima è solo una questione contabile, che tecnicamente fa figurare qualcosa per un’altra (traendo però in inganno il cittadino interessato a controllare la gestione dello stato che ha votato), ma che non cambia la sostanza delle cose: ossia che il problema pensionistico italiano sia di natura strutturale.
La questione fin qui esposta non è che la punta dell’iceberg di un grandissimo problema. Infatti, allorquando salta il turnover fra lavoratori attivi e quelli in pensione (cosa che può accadere sia alla cassa pensionistica dei lavoratori pubblici che a quella dei lavoratori privati), generando così un ammanco di risorse per soddisfare l’erogazione delle pensioni attuali, se non dalle entrate previdenziali, un buco simile non può che essere integrato e coperto da trasferimenti dello stato a favore dell’ente pensionistico. Capite? Quando le entrate da contributi, da soli, non sono sufficienti per erogare tutte le pensioni attuali, lo stato è costretto ad aumentare le tasse a tutti i cittadini o ad indebitarli ulteriormente, per coprire il disavanzo previdenziale e nascondere il difetto del sistema pensionistico nostrano, che favorisce la generazione presente a danno di quella futura.
Non solo, checché se ne dica, bisogna considerare anche che i contributi dovuti dallo stato per i suoi dipendenti, non generano un flusso di cassa reale così come avviene con il versamento dei contributi da parte dei soggetti privati, ma consistono solo un girocontocontabile, perché nel caso dei lavoratori pubblici, lo stato e il datore di lavoro sono costituiti dallo stesso soggetto, dove lo stato deve dei soldi a sé stesso. Ne ho parlato molto più approfonditamente circa un anno fa in questo post che vi consiglio di leggere.
Quindi è uscita fuori la conferma che il sistema pensionistico italiano ha dei difetti strutturali, già noti a chi di dovere (leggete qui) e a cui non si è mai fatto qualcosa per sostituirne il debole meccanismo, se non rendere nel futuro l’accesso alla pensione sempre più difficile e con un riconoscimento sempre più misero. E’ anche risultato che lo stato italiano trucca i conti pubblici ai danni degli elettori e dei suoi investitori, i quali puntano la loro fiducia in un sistema in realtà zoppo, ignari delle reali condizioni delle finanze pubbliche e quindi con una percezione distorta circa l’effettivo stato di salute dell’Italia e circa l’operato dei politici che hanno governato.
*Link all’originale: http://www.pasqualemarinelli.com/index.php?subaction=showcomments&id=1352468859&archive=&start_from=&ucat=3&include_id=101
“Quindi è uscita fuori la conferma che il sistema pensionistico italiano ha dei difetti strutturali, già noti a chi di dovere e a cui non si è mai fatto qualcosa per sostituirne il debole meccanismo”.
Non si è mai fatto e mai si farà semplicemente perchè è impossibile che un sistema pensionistico pubblico possa essere basato su un meccanismo “forte”. Per fare qualcosa di “forte” lo stato dovrebbe incamerare i quattrini dei cittadini, investirli in modo produttivo, cioè aumentarne il valore nel tempo in termini reali, e restituire il surplus sottoforma di un vitalizio. Fare questo vorrebbe dire creare ricchezza, cosa che lo stato non può fare per definizione.
Lo stato può fare esclusivamente due cose: tassare e stampare biglietti falsi.
Tutti i suoi “meccanismi” si fondano su questo paradigma, comprese le pensioni, ecco perchè possono essere solo “deboli”.
E’ notizia di oggi (nel senso che è stata ripubblicata oggi, ma è noto da tempo) che molti lavoratori che hanno chiesto il ricongiungimento oneroso, si sono visti presentare richieste di CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO da parte dell’inps.
Esatto: centinaia di migliaia. Pari al riscatto di 20-30 anni di studio.
Ma secondo voi è ragionevole continuare a sostenere uno stato del genere?
Posso rassegnarmi al fatto che per tutta la mia vita lavorativa potrei aver versato, anzi, speso, migliaia di euro a fondo perduto. Ma datemi almeno la possibilità di smettere d’ora in avanti.