GEORGE TOWN, ISOLE CAYMAN – La cosa migliore da fare alle Cayman, per chi vuole coi propri soldi far coincidere il lordo col netto (dalle tasse), è aprirsi un Asset protection trust, uno strumento in cui beni e risparmi dell’aspirante elusore/evasore fiscale vengono affidati a un fiduciario (trustee), che li gestisce rendendoli non riconducibili al loro proprietario, irrintracciabili dal Fisco italiano.
Riccardo Staglianò del Venerdì di Repubblica è andato alla sede centrale della Cayman National Bank. Ha chiesto di aprire un conto corrente e gli è stato risposto che doveva avere un domicilio locale. Ma quando ha chiesto di aprire un “trust”…
L’impiegata cambia espressione. Telefona a una collega. Nonostante l’imminente orario di chiusura, sono lieti di attendermi. Questa filiale è a Caymana Bay, il quartiere di shopping e uffici creato dal miliardario Kenneth Dart, uno che ha rinunciato alla cittadinanza statunitense nel ’94 per scampare alle tasse […] In banca, in una sala riunioni imperiale, mi accolgono il capo dell’ufficio e la sua vice. Racconto loro che ho qualche risparmio, un milione di euro, e molta paura che l’Italia esca dall’euro e i miei soldi si svalutino. Capiscono. Come posso difendermi? Mi propongono una società, dove conferire i miei capitali, gestita da un fiduciario. Lui li investirà in fondi, più o meno rischiosi a seconda delle mie preferenze (“Potrà dare indicazioni. Quel che ci sentiamo di garantire è il 3-4 per cento l’anno”), e mi farà versamenti periodici. Comunque avrò una carta di credito da usare quando voglio.
Sì, ma se in Italia decidono di mettere una patrimoniale sui depositi e vedono che il mio si è svuotato di colpo? “Non potranno fare niente. A meno che non sia denaro di sospetta provenienza criminale. E anche in quel caso, serve l’ordine di un giudice per vedere cosa c’è dentro un trust”. Con il tempo che ci vuole, uno può spostare tutto nell’isola accanto. “In ogni caso non intendiamo violare alcuna legge e ci coordineremo con il suo commercialista”. Servono circa 12 mila dollari per aprire il trust, poi 6500 all’anno per mantenerlo. I due non mi hanno chiesto né cosa faccio, né come mi chiamo. […] “Dimenticavo” aggiunge il capo, come offerta last minute, “oltre al contante, nella società può far confluire immobili, yacht, qualsiasi suo bene”.
Felicemente nullatenente, addirittura in affitto dal trustee. La mia banca mi spiegherà che per bonifici importanti avvisano la Banca d’Italia, che però non ha il tempo di controllare tutto. Chiedo a Gian Gaetano Bellavia, commercialista tra i più esperti di economia criminale: “Con l’archivio unico informatico ogni bonifico è tracciabile. Se poi il destinatario sono le Cayman si accende l’allarme rosso. Però potrebbe aprire un conto aLussemburgo, che è Unione Europea, e da lì farlo proseguire per le Cayman. Oppure andare in Svizzera e trovare un professionista compiacente che confonda le tracce degli spostamenti di denaro”.
Se sui dollari americani c’è scritto: “In god we trust”, nella testa dei finanzieri di mezzo mondo c’è scritto: “In Cayman we trust”. E la semplicità con la quale un giornalista italiano si stava aprendo un fondo fiduciario spiega perché due terzi degli hedge fund di tutto il mondo hanno sede alle Cayman, 10 mila dei 15 mila totali.
Questo fa capire anche perché tre isole che insieme raggiungono le dimensioni dell’Elba, con 40 mila abitanti di cui la metà immigrati di lusso impiegati nella finanza, ospitino qualcosa come 80 mila società, delle quali 9 controllate da Citigroup, 33 di News Corporation (Murdoch) e 692 di Enron.
Il simbolo delle Cayman è l’Ugland House, un comunissimo palazzo di quattro piani che però ha una particolarità che lo rende unico: è la sede di 2000 società. Particolarità che è entrata nell’ultima campagna elettorale di Obama: “O l’Ugland House è l’edificio più grande del mondo, oppure è la frode fiscale più grande del mondo”. Obama ha insistito sulle Cayman perché il suo rivale Mitt Romney, un mito nel piccolo arcipelago caraibico, ha 10 milioni di dollari depositati in loco, dove hanno sede anche 137 società della holding di Romney, la Bain Capital.
Staglianò nel suo reportage cita le stime del britannico Tax Justice Network: dei 21 mila miliardi di dollari (21.000.000.000.000) nascosti nei paradisi fiscali sparsi per il mondo, 2 mila miliardi sono alle Cayman.
Un magnete per capitali in fuga dalle tasse. Un posto che, narra la leggenda, ne venne esentato dal 1780, quando 10 navi della marina inglese si incagliarono al largo delle Cayman e i locali, accorrendo con i loro barchini, misero in salvo tutti gli equipaggi, guadagnandosi la riconoscenza di Re Giorgio III, che permise ai “Caymanesi” di non pagare più dazi all’Impero Britannico.
Da allora si è evoluto un sistema che ora ha una legislazione finanziaria che è una delle piùfriendly del pianeta. Così il quinto centro finanziario al mondo si mantiene senza tasse. Il governo si finanzia con i bolli, i permessi per lavorare nell’isola e l’Iva, che va dal 22 al 27 per cento per le merci di importazione.
Spiega a Staglianò un giornalista locale: “D’altronde, io non ho figli: perché dovrei contribuire economicamente per le scuole, visto che non me ne avvantaggio?”. Benvenuti a George Town, paradiso duty free e welfare free a soli 250 km dall’ultimo avamposto occidentale del socialismo reale, Cuba.
Tratto da: Blitzquotidiano.it
I paradisi fiscali sono la conseguenza degli iferni fiscali e del non-libero mercato.
Se il welfare non fosse così elevato, se non ci fossero così tanti parassiti statali, tra comuni, province, regioni, ecc. istruzine pubblica, sanità, trasporti, forze dell’ordine di ogni genere e grado, ecc. aziende parastatali e chi più ne ha più ne metta.
Per quanto mi riguarda se ci fosse solo la sicurezza e l’assistenza sanitaria o altro solo per i più bisognosi (neanche tutti i cittadini quindi) e se le amministrazioni fossero locali perché risultino quindi più controllabili da parte dei cittadini.
Insomma se il welfare fosse qualcosa di onesto a prezzo giusto la gente non avrebbe problemi a finanziarlo e a viverci dentro.
Le grosse multinazionali che detengono gran parte della ricchezza mondiale sono la coseguenza dell’assenza di una vera libera concorrenza che altrimenti le avrebbe già schiacciate o ridimensionate.
Insomma i paridisi fiscali non sono l’inevitabie conseguenza del sistema capitalista ma delle distorsioni in esso operate dagli statalismi e da chi manipola essi.