Dopo aver esercitato una considerevole influenza tra fine Ottocento e inizio Novecento grazie a Carl Menger e Eugen Böhm-Bawerk (ma anche, successivamente, per merito di Friedrich von Hayek e altri studiosi), la cosiddetta «scuola austriaca» dell’economia si trova da tempo ai margini dell’universo accademico: variamente neoclassico e/o keynesiano.
A dispetto di questo, il prestigio di uno studioso come lo spagnolo Jesús Herta de Soto sta crescendo, insieme al numero di quanti – anche italiani – si sono formati grazie ai suoi corsi. La stessa traduzione nella nostra lingua di Moneta, credito bancario e cicli economici, del 1998 (per merito delle edizioni Rubbettino, euro 38), non sarebbe stata possibile senza il generoso impegno di giovani intellettuali come Giancarlo Ianulardo, Carlo Zucchi e Antonio Zanella.
L’iniziativa è encomiabile, dato che questo trattato di oltre 700 pagine si colloca a pieno titolo a fianco di opere come L’azione umana di von Mises e Man, Economy and State di Rothbard. Tale volume non esamina però l’intero spettro dell’economia, ma focalizza l’indagine sul rapporto fra i cicli economici e il sistema finanziario. Al centro della riflessione c’è la questione monetaria. In particolare, il libro sviluppa una critica assai dura nei riguardi della cosiddetta «riserva frazionaria», ossia del comportamento di quelle banche (quasi tutte) che non prestano risorse proprie, ma dispongono solo di un capitale limitato e utilizzano quindi per lo più risorse altrui ottenute da risparmiatori titolari di un deposito. Non si tratta solo e in primo luogo di questioni economiche, ovviamente, ma anche e in primo luogo di ordine morale: e non a caso un recente volume largamente in sintonia con quello dello studioso spagnolo s’intitola L’etica della produzione di moneta, scritto da Jörg Guido Hülsmann e pubblicato da Solfanelli.
In queste riflessioni ci si chiede se un bene – e in questo caso si tratta di denaro – possa essere al tempo stesso di due persone: il depositante e colui che riceve quei soldi in prestito. Cento euro depositati da un individuo e poi prestati a un altro, in effetti, sono al tempo stesso a disposizione del primo come del secondo. Da qui si sviluppa una ricostruzione storico-giuridica che risale allo ius civile dei Romani per scoprire il senso del contratto di deposito e per contestare – di seguito – un sistema economico giudicato fraudolento, dato che (con l’abbandono della copertura al 100% di ogni prestito) espone il risparmiatore al rischio di non disporre delle proprie risorse qualora ne avesse bisogno. Che è esattamente ciò che succede quando tutti coloro che hanno un conto corrente si recano, contemporaneamente, a chiedere la restituzione del loro denaro. Il «panico» che si ebbe in America nel 1929, quando si ebbero file di persone agli sportelli delle banche, non sarebbe altro che la conseguenza inevitabile di regole che minano alcuni principi fondamentali dell’ordine giuridico e che in tal modo espongono l’economia a disastri ricorrenti.
A detta di Huerta de Soto, la riserva frazionaria produce conseguenze negative non soltanto sul piano giuridico. Dal momento che induce le banche commerciali a favorire processi inflazionistici, essa è in larga misura responsabile delle bolle che hanno spinto molti – in America come in Europa – a investire anche dove non era ragionevole, a causa di un’offerta ingiustificatamente alta di denaro e di credito.
Come già era successo agli argomenti di von Mises e Rothbard, tali tesi sono al centro di accese controversie anche in ambito «austriaco» ed egualmente tra gli studiosi liberali e libertari di differente orientamento. Autori come George Selgin e Lawrence White, in particolare, contestano simili critiche alla «riserva frazionaria». A loro avviso la semplice attribuzione di interessi a quanti hanno un conto bancario starebbe ad attestare che quello che ancora chiamiamo contratto di deposito sarebbe in realtà qualcosa di diverso: e cioè un prestito. In tal caso, il rischio sarebbe il correlato dell’interesse ricevuto. Selgin e White non chiedono una piena copertura di ogni credito (come fa invece Huerta de Soto), ma sono fautori di un sistema di banche libere, e cioè private e in concorrenza, nella convinzione che anche una riserva solo frazionaria manterrebbe solidità al sistema se il corso forzoso fosse abolito e le monete fossero in competizione.
Su una cosa Huerta e questi suoi critici, a ogni modo, concordano: e cioè che l’attuale sistema basato su monete statali è destinato a produrre crisi a ripetizione. Quando la Fed americana o la Bce europea sono in condizione di emettere moneta in modo illimitato, è fatale che ci si diriga verso inflazione, verso illegittime redistribuzioni (ogni creazione di moneta arricchisce qualcuno a scapito dei titolati del vecchio denaro) e, alla fine, verso il collasso stesso della società. Se in un modo o nell’altro non si rifonda il sistema economico su basi più solide e su monete che emergano dal mercato e dalle scelte autonome di quanti le utilizzano, le banche centrali continueranno a perturbare la vita economica e a intralciare quanti producono beni e servizi.
Il paradosso del capitalismo contemporaneo è un po’ questo: abbiamo un ordine economico di mercato che non solo è alterato da tassazione e regolazione, ma che è addirittura costruito su pilastri finanziari (le monete) che si sottraggono alla concorrenza di mercato, dato che sono in larga misura dominate da interessi politici e logiche monopolistiche. Quali che siano le implicazioni teoriche riguardanti la moneta, il volume dello studioso madrileno ha comunque il grande merito di evidenziare come l’analisi economica implichi costantemente valutazioni di ordine morale. D’altra parte, fin dai tempi di Turgot e Smith (ma si potrebbe parlare pure di Albertano da Brescia o della Seconda Scolastica), la riflessione sulla produzione e sul mercato è sempre stata correlata a un dibattito sulle istituzioni, sulla società, sul modello antropologico sotteso alle diverse analisi. E uno dei grandi meriti di Moneta, credito bancario e cicli economici consiste proprio nel ribadire con forza l’esigenza di una riflessione che riponga al centro l’uomo stesso.
*Link all’originale: http://www.ilgiornale.it/news/cultura/lascesa-de-soto-rivincita-liberista-parte-spagna-844625.html
Bell’articolo, che basterebbe da solo a tappare la bocca, una volta per tutte, a quell’ignorantone di Guido Rossi, già brillantemente confutato, nell’articolo di ieri, dal bravo Matteo Corsini.