“Una tassazione reale sui redditi che supera il 55% non può essere accettata dai contribuenti-cittadini. Il fatto è che per parlare seriemente di “riduzione del prelievo” non si può evitare di affrontare il nodo della spesa pubblica. L’attuale crisi economica e l’elevato debito pubblico evidenziano la necessità di limitare l’intervento dello Stato nell’economia, dando più spazio ai mercati, fermo restando efficaci controlli sul rispetto degli indirizzi e sul rispetto delle regole. In sostanza, in una società dove il mercato è abbastanza sviluppato e capace di ben eseguire le funzioni importanti di interesse generale, lo Stato dovrà prendere l’iniziativa e correggere gli errori al fine di rendere il mercato stesso più efficiente e competitivo.” (P. Moretti)
Paolo Moretti è docente di economia aziendale alla Luiss. L’articolo dal quale ho tratto le frasi riportate mi ha fornito l’ennesimo esempio di come i nemici più temibili del libero mercato siano in realtà coloro che se ne dichiarano sostenitori, ma a patto che lo Stato vigili e corregga gli esiti indesiderati. Costoro, non se se intenzionalmente o meno, rappresentano in realtà una minaccia per il libero mercato ben più temibile di coloro che se ne dichiarano apertamente nemici.
L’articolo di Moretti inizia ricordando che agli inizi del Novecento la spesa pubblica era attorno al 12% del Pil, livello all’epoca considerato esorbitante. Prosegue, poi, sostenendo che quando, come da diversi anni a questa parte in Italia, lo Stato spende la metà del Pil o qualcosa in più, l’economia smette di crescere. Infine, afferma che “una tassazione reale sui redditi che supera il 55% non può essere accettata dai contribuenti-cittadini”. Ovviamente, però, per parlare di riduzione del prelievo fiscale è necessario “affrontare il nodo della spesa pubblica”. Lo Stato, in sostanza, dovrebbe lasciare spazio al mercato.
Se si sostiene il libero mercato, come non essere d’accordo? Il problema viene dopo, e cioè quando Moretti precisa “fermo restando efficaci controlli sul rispetto degli indirizzi e sul rispetto delle regole” e sostiene che “lo Stato dovrà prendere l’iniziativa e correggere gli errori al fine di rendere il mercato stesso più efficiente e competitivo”.
Sulla questione del rispetto delle regole, alcuni sostenitori del libero mercato ammettono che ciò possa essere uno dei limitati compiti dello Stato. Personalmente ritengo più coerente mettere in discussione anche questo ruolo, trovando convincente e coerente il pensiero (su tutti) di Murray Rothbard. In estrema sintesi, al contrario dei miniarchici io credo che lo Stato sia un male non necessario.
Ciò detto, penso che nessun autentico sostenitore del libero mercato possa invece essere d’accordo nel riservare allo Stato un ruolo di indirizzo o di correzioni di presunti errori. Fornire un indirizzo al mercato “per il bene comune” o, per motivi più o meno analoghi, intervenire per correggerne gli esiti, definendoli “fallimenti”, sono stati i cavalli di troia degli interventisti di ogni epoca, grazie ai quali ci troviamo ad avere l’economia stagnante (quando va bene) e la spesa pubblica che supera la metà del Pil.
E’ quanto meno contraddittorio, a mio parere, sostenere che lo Stato deve lasciare spazio al mercato, evidentemente ritenendo che stia facendo danni, salvo poi riservargli un ruolo di indirizzo e correzione. E questo non tanto per gli esiti empirici che l’interventismo ha portato, bensì in linea di principio.
Se la richiesta di meno Stato si basasse solo sui risultati empirici dell’interventismo, si potrebbe sempre sostenere che si sia trattato di un problema di qualità e competenza delle persone che hanno disegnato e attuato tali interventi. Ciò fornirebbe comunque un sostegno all’idea che un gruppo più o meno ristretto di persone, ancorché dotate di un mandato ottenuto alle elezioni (non sempre è così, peraltro), sia in grado di stabilire cosa è meglio per tutti quanti; sia, cioè, in possesso di conoscenze superiori a quelle disperse tra milioni di individui. Il che è umanamente impossibile, come efficacemente spiegò Hayek.
E’ quindi ex ante e logicamente che l’interventismo deve essere rifiutato da chi sostiene il libero mercato. Ben prima che si arrivasse alla situazione attuale, Mises descrisse lucidamente l’inevitabilità di un processo progressivo dell’interventismo, perché ogni intervento avrebbe dato esiti negativi, per far fronte ai quali si sarebbe invocato un ulteriore intervento dello Stato, anziché un suo passo indietro. E l’esito finale di un processo del genere è l’avvento del socialismo. Mises, in sostanza, sosteneva che non è possibile, a lungo andare, una terza via tra liberalismo e socialismo, e lo sosteneva oltre ottant’anni fa.
Chiedere, oggi, un passo indietro dello Stato riservandogli un ruolo di indirizzo e correzione è quindi il miglior assist a un successiva (nuova) espansione dello Stato stesso. Non il massimo per chi ritiene che lo Stato sia cresciuto troppo e che sia meglio lasciare spazio al mercato.
“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva Gandhi, non ci resta altro da fare, comunque, uno stato che evade i contributi previdenziali per imbrogliare sul bilancio, non vedo proprio come si possa riformare.
Il tuo movimento ha un concorrente, caro Leonardo, lo stato “evasore” …