Come noto nell’ambito della storia della guerra psicologica particolare significato ha rivestito la definizione che nel 1976 diede lo psicologo francese Roger Mucchielli di sovversione. In base alla sua interpretazione la sovversione era sostanzialmente un’azione preparatoria destinata unicamente a delegittimare il potere, a indebolirlo e a demoralizzare i cittadini. La sovversione agiva sull’opinione pubblica attraverso una strumentazione sottile ed insieme sofisticata. Ebbene non c’è dubbio che riflettendo sull’interpretazione data dallo psicologo francese emerge in prima battuta l’importanza decisiva dell’uso offensivo della parola. Nello specifico la sovversione si attua attraverso la propaganda-che si rivolge alla dimensione irrazionale della mente del destinatario-, attraverso la pubblicità con la quale la sovversione viene trasmessa a un pubblico vastissimo che verrà quindi influenzato , attraverso l’intossicazione che consiste nel fornire informazioni errate allo scopo di indurre l’interlocutore a prendere decisioni che lo danneggeranno ed infine attraverso la disinformazione che altro non è che una manipolazione della opinione pubblica con finalità politiche.
Nello specifico la sovversione vuole raggiungere tre obiettivi: come suo primo obiettivo mira a screditare e a disintegrare la coesione interne instillando il dubbio sui valori sui quali si costruisce la società e colpevolizzando gli individui che in essi credono. In altri termini la sovversione deve fornire ai propri interlocutori l’impressione di come risulti inutile contrastarne l’influenza e deve quindi essere in grado di ridurre i mezzi di difesa disseminando la discordia; come suo secondo obiettivo la sovversione non può che avere quello di indebolire le istituzioni costituite contribuendo di conseguenza a rafforzare i contestatari; come suo terzo obiettivo la sovversione mira a neutralizzare quei gruppi che legittimano il potere costituito anche attraverso l’infiltrazione di agenti sovversivi. Accanto ad essa agisce anche la propaganda sovversiva che, per poter raggiungere i suoi obiettivi, non può che reclutare e attuare un vero proprio proselitismo per convertire, indottrinare ed infine integrare i gruppi recalcitranti preparandosi in questo modo ad attuare un’azione sovversiva su larga scala. Naturalmente la propaganda sovversiva non potrà che fare appello alla giustizia,alla libertà allo scopo di determinare la decisione dell’opinione pubblica da un lato e dall’altro l’indignazione della stessa nei confronti dei detentori del potere. Un’altra tecnica di cui si serve la sovversione è certamente quella del manicheismo con la quale si attua una contrapposizione netta e radicale tra il bene il male: da un lato infatti la sovversione metterà in evidenza la presenza di una situazione in cui domina soltanto la guerra, la morte, la miseria, la tirannia,l’ingiustizia, l’ineguaglianza mentre dall’altro lato si farà portavoce di valori positivi quali quelli di giustizia,di libertà o comunque di valori considerati universali. Ebbene i principali rischi della sovversione provengono non solo da gruppi commerciali e industriali concorrenti ma anche dai gruppi ecologisti e no global. La particolarità di questa sovversione è data dalla capacità di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa e di Internet per amplificare la loro valenza sovversiva. Tra le tecniche più usate vengono utilizzate quelle che solitamente sono in grado di attuare un maggior influsso come le manifestazioni pubbliche, la realizzazione di contro sondaggi, gli appelli a esperti di parte, la costruzione di osservatori o la stesura di libri bianchi. Un’altra tecnica sovente utilizzata è quello di portare l’avversario sul terreno del ridicolo e nello stesso tempo quello di sottolineare il ruolo fondamentale del martirio di fronte all’ingiustizia commessa dall’istituzione o dalle industrie.
L’utilizzazione del diritto come un terreno di manovra è certamente una delle tecniche sovversive più efficaci : l’esperto giuridico è infatti in grado di sconfiggere il gigante, la multinazionale. Inoltre il diritto costituisce un ottimo strumento di risonanza mediatica poiché permette di sottolineare come la causa per la quale si lotta sia quella della giustizia. Inoltre portare sul terreno giuridico l’avversario permette di recuperare tutte le immagini dei miti antichi e moderni nei quali l’eroe combatte la propria battaglia per la Verità contro il Tiranno. Se poi l’azione intrapresa in ambito giuridico ottiene successo la società civile finirà per giudicare i vincitori i buoni e i cattivi i perdenti con immani conseguenze sul piano mediatico. Non solo: ma l’azione giuridica se ben condotta può creare un vero proprio clima di terrore paralizzante soprattutto nei confronti dei dirigenti d’impresa. In altri termini portare a compimento con efficacia un’azione giuridica è certamente uno degli strumenti migliori nell’ambito della guerra dell’informazione e della destabilizzazione sovversiva. Allo stato attuale dunque un’impresa deve essere in grado di attuare una strategia capace di contrastare la sovversione ma perché questo possa accadere è necessario superare il gap generazionale a livello di gestione manageriale. In altri termini la cultura manageriale deve essere impregnata di cultura sovversiva per essere in grado di prendere misure difensive ed offensive insieme che il contrasto con le imprese concorrenti e con le associazioni no global impongono. Ora l’inazione e/ o la difesa statica sono del tutto inefficaci a lungo termine contro la sovversione e di conseguenza la dirigenza manageriale dovrà essere in grado di prendere per prima l’iniziativa di contrastare l’offensiva. Attraverso un gruppo di esperti in guerra dell’informazione la gestione manageriale dovrà essere in grado di operare un ribaltamento dialettico delle armi dell’avversario, dovrà essere in grado di utilizzare le tecniche sovversive contro i sovversivi stessi e nello stesso tempo dovrà utilizzare gli strumenti del diritto sia civile che penale per cassare in modo rapido gli attacchi che vengono posti in essere.
Allo scopo di illustrare quanto affermato riteniamo opportuno prendere due esempi tratti dalla sterminata letteratura alter global : da un lato la riflessione di uno dei padri fondatori del commercio equo e solidale e cioè Frans Van der Hoff e dall’altra parte quella della organizzazione nota come Slow Food.
Il teologo della liberazione olandese Van der Hoff -ex sessantottino ed ex militante anti- guerra del Vietnam-enuncia i principi che stanno alla base del commercio equo solidale in modo assolutamente chiaro secondo la tecnica tipica e caratteristica insieme della demonizzazione dell’avversario. La globalizzazione non sarebbe altro che lo stadio ultimo della morte delle culture. Fra i principali malesseri della società individuale non ci sarebbe soltanto l’individualismo ma anche la razionalità strumentale e la burocrazia autoreferenziale, ai quali il teologo olandese aggiunge naturalmente il ruolo di vassallo dei governi plutocratici nei confronti del capitalismo. Usando un linguaggio ampiamente noto nell’ambito della teoria marxiana il teologo olandese rileva come il sistema capitalistico sarebbe una forma di alienazione costruita su una vera propria religione secolarizzata e cioè sulla fede nel libero mercato. Analogamente il liberismo che esprime sul piano teorico questa cieca fiducia nei confronti del libero mercato ha in sé indubbiamente lati oscuri e perversi. Facendo ricorso a un linguaggio che s’ispira esplicitamente alla mitologia l’autore rileva come la mondializzazione abbia portato con sé una corredo di mostri, di draghi dalle molte teste che altro non sono che le multinazionali. Una delle conseguenze alle quali il liberismo ha condotto è stata certamente l’omologazione generalizzata a causa della quale tutto il mondo finirebbe per vivere, secondo il teologo olandese, nello stesso modo e a causa del quale le diversità tra cultura verrebbero meno. Ovviamente anche i legami sociali sono stati corrotti dalla mondializzazione. Sempre ricorrendo all’immagine del mostro per indicare la globalizzazione attuale il teologo olandese sostiene che il sistema abbia lasciato dietro di sé una scia di vittime che ha sacrificato nella sua marcia verso il progresso e di cui si sarebbe nutrito per svilupparsi. Se infatti il capitalismo ha avuto un così evidente successo lo si deve solo allo sfruttamento del pianeta e della popolazione.
L’unica soluzione per combattere questo sistema è quello non solo di criticarlo in modo spietato-e di criticare in modo spietato la logica delle multinazionali- ma soprattutto quello di costruire alternative economiche eque e solidali che naturalmente, secondo il teologo olandese, sono ispirate a principi completamente diversi da quelle capitalismo e che consentono la giustizia e l’ equità. D’altronde l’esperienza del ‘68 non ha forse insegnato che contestare il sistema diventa legittimo e credibile solo e nella misura in cui si è in grado di costruire proposte alternative concrete? Ed ancora: il movimento di Seattle- come d’altronde quello zapatista in Messico- non ha forse insegnato che è giunto il momento di costruire una coscienza internazionale contro le multinazionali e contro l’attuale capitalismo allo scopo di superare gli squilibri del mondo ? A conclusione del suo manifesto il teologo olandese osserva come, accanto al ruolo indispensabile rivestito dalla società civile nel sostegno al commercio equo e solidale, non meno significativo sia l’apporto del mondo accademico e del microcredito.
Fra le tecniche disinformative che vengono messe in atto dal movimento Slow Food certamente quelle più importanti sono la mistificazione per omissione, il ricorso alla mitizzazione e alla demonizzazione che porta inevitabilmente ad una percezione manichea della realtà. Nei suoi documenti programmatici il movimento fondato da Carlo Petrini -e recentemente sponsorizzato dal regista Ermanno Olmi – fa un uso frequente di un topos tipico della controcultura e soprattutto del romanticismo: l’identificazione della velocità con la civiltà industriale moderna al quale contrappone la lentezza della civiltà contadina; un altro topos è certamente l’identificazione della modernità con la macchina identificazione questa che è caratteristica non solo del romanticismo europeo ma anche dei critici della civiltà moderna. Per quanto concerne il processo di mitizzazione è sufficiente ricordare il modo in cui nei documenti del movimento viene descritta la civiltà contadina- che viene esaltata ed elogiata- e alla quale viene contrapposta –secondo una logica dicotomica- la civiltà capitalistica. Questo procedimento di mitizzazione è anche un processo di omissione poiché vengono omessi tutti i dati di natura storica ed economica che inficiano in modo evidente la ricostruzione che viene fatta della civiltà contadina. E’ infatti storicamente del tutto privo di legittimità sostenere che nella vita contadina dell’Italia preindustriale vi fossero pasti abbondanti, alimentazione sana e gustosa. Come abbiamo già avuto modo di illustrare a proposito dei presupposti del movimento del commercio equo e solidale anche il movimento di Carlo Petrini attua una interpretazione del mondo di chiara derivazione controculturale sessantottina. A tale proposito sia sufficiente sottolineare come il programma politico sul lungo periodo del movimento consiste proprio nel voler cambiare radicalmente le abitudini alimentari della società civile oltre che le modalità di produzione e di distribuzione del cibo.
D’altronde per Slow Food nella civiltà odierna vi sarebbe un evidente deprivazione sensoriale che porterebbe l’uomo contemporaneo all’ottundimento delle sue facoltà di udire, vedere, tastare, gustare e annusare. Questo retaggio ideologico determina , secondo una implacabile logica consequenziale, la demonizzazione della civiltà dei consumi e del capitalismo. Un’altra forma di mistificazione di estremo interesse per la nostra ricerca è quella relativa all’interpretazione che viene data della conoscenza scientifica: in primo luogo questa viene distinta tra buona e cattiva, se ne rifiutano determinate implicazioni-per esempio quelle relative alle biotecnologie -e se ne accettano altre che legittimano il punto di vista del movimento; in secondo luogo, attraverso la tecnica dell’ omissione , si accettano solo quei risultati che confermano il punto di vista del movimento. Un altro esempio di analogo interesse nel contesto della mistificazione è quello relativo al concetto di naturalità e di agricoltura: contrariamente a quanto sostenuto dal movimento infatti il concetto di naturalità applicato all’agricoltura è semplicemente fittizio poiché così come nessuna delle piante coltivate dall’uomo esiste in natura allo stesso modo gli animali domestici sono il frutto di un’accurata selezione fatta dall’uomo. In altri termini l’agricoltura in quanto attività umana è stata uno dei primi esempi di intervento umano sulla natura, intervento volto a modificarla e adattarla alle esigenze dell’essere umano. Per quanto riguarda il processo di demonizzazione sia sufficiente citare gli scenari apocalittici che il movimento descrive e dai quali si desume che la civiltà umana sia ormai giunta al suo epilogo: il capitalismo sarebbe la forma di individualismo più spinto e più egoista poiché porterebbe allo svilimento e al deperimento di ogni bene comune quale la terra e l’acqua, la pace e la felicità. Accanto alla tecnica di demonizzazione il movimento di Carlo Petrini si serve della tecnica disinformativa della mitizzazione per omissione: la civiltà alternativa che viene proposta dal movimento presenta tratti analoghi con le società primitive preindustriali nelle quali per esempio il dono costituiva la base del sistema sociale ed economico. Questa tesi risulta apparentemente verosimile poiché il movimento ,attraverso la tecnica della omissione,evita di riferire al lettore tutti quei dati della ricerca antropologica che al contrario dimostrano come le società preindustriali fossero fondate sulla rapina, sulla violenza e sullo sfruttamento sistematico della natura oltre che sulla schiavitù. Coerentemente con i suoi presupposti ideologici anticapitalistici e antiliberisti il movimento propone riforme sul lungo periodo radicali sia a livello morale grazie alle quali lo spirito utilitaristico e individualistico del commercio si sarà trasformato in spirito altruistico e comunitario ,ma soprattutto riforme di natura economica grazie alle quali l’agricoltura massificata voluta dalle multinazionali sarà superata da un’agricoltura di tipo tradizionale, preindustriale e non intensiva.
Bibliografia
Av Vv, La guerre cognitive.L’arme de la connaissance,Lavauzelle,2002
Frans van der Hoff,Manifesto dei poveri.Il commercio equo e solidale:per non morire di capitalismo,Il Margine, 2012
Luca Simonetti,Mangi chi può meglio,meno e sano.L’ideologia di Slow Food,Mauro Pagliai Editore, 2010
* Centro Studi Strategici
Non mi è picaiuto questo articolo.Si fa l’apologia del capitalismo corporativo o parassitario e si demonizzano i presunti “avversari”:i banksters,i politicanti,i burocrati?No associazioni private “colpevoli” di supportare idee e stili di vita diversi dallo status quo,eh male dei mali viene considerato il commercio equosolidale,che in pratica in realtà è molto più vicino al concetto “capitalista” e anarchico come inteso dai libertari,che non il capitalismo parassitario moderno.Inoltre il linguaggio usato ricalca quello della destra reazionaria e tradizionalista:solo che al posto della rivoluzione francese o americana,c’è la “rivoluzione ecologista” ,al posto dei massoni e degli ebrei,ci sono le associazioni ambientaliste e i movimenti di sinistra(e destra)radicali.
Saluti libertari.
Bellissimo articolo. La battaglia contro questa cultura dominante è proprio una battaglia culturale. Quando vedevo personaggi di centrodestra che esaltavano slow food, ho capito dubito che dove questi personaggi avevano visto era proprio sul piano culturale. La cultura è alla base di ogni movimento culturale. Se il libertarismo vuole imporsi al dibattito culturale deve fare una grossa azione di antagonismo culturale.