L’ultimo romanzo di Walter Veltroni, L’isola e le rose, ha portato all’attenzione del grande pubblico la storia della Repubblica delle Rose, una piattaforma artificiale costruita nelle acque internazionali a largo delle coste riminesi. La piattaforma venne demolita dallo Stato italiano pochi mesi dopo la proclamazione di indipendenza, annunciata il 1 maggio 1968 dal suo ideatore, l’ingegner Giorgio Rosa.
Il libro dell’ex segretario del Pd non ha per protagonista l’ingegnere, ma un gruppo di ventenni che sogna “una piattaforma appena oltre il limite delle acque territoriali, dove accogliere una comunità di artisti, poeti, musicisti, amanti della bellezza”, un’isola hippie destinata a soccombere per la reazione dell’ “ordine costituito”. L’episodio è inserito nell’atmosfera culturale sessantottina: i protagonisti leggono Kerouac, Ginsberg, Pasolini e Marcuse, ascoltano i Beatles e gli Stones, si parla del golpe dei colonnelli, della guerra dei Sei giorni, del Vietnam e di Martin Luther King, di Kennedy e Che Guevara. In una recensione sull’Unità, D’Alema dice che il libro ha “il sapore della nostalgia … della nostra vita personale e della nostra storia collettiva”. Nostalgia per gli anni in cui i rivoluzionari italiani si sentivano “eroi giovani e belli”. In realtà l’impresa di Rosa e il movimento di contestazione studentesco sono solo una coincidenza temporale. Veltroni iscrive l’isola e il suo ideatore al sessantottismo senza che siano mai stati sessantottini, un po’ come ha fatto con sé stesso, iscritto al Pci senza essere mai stato comunista. La storia di Rosa è quella di un ex fascista libertario, un repubblichino condannato per diserzione dalla Rsi. È un eroe randiano, un John Galt bolognese che cerca un’oasi di libertà fuori dal potere statale.
“Who is John Galt?” È la domanda centrale de La rivolta di Atlante, il capolavoro di Ayn Rand. Dunque, Chi è Giorgio Rosa? Come John Galt è un ingegnere che si ribella all’obbligo marxiano “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, così Rosa è un ingegnere che non accetta di sacrificare la propria libertà ai collettivismi dell’epoca: il paternalismo della Chiesa, il maternalismo della Dc e l’anticapitalismo dei comunisti. “I preti volevano che non facessi nulla che a loro non garbasse – dice l’ingegnere – i comunisti cercavano di combattere i signori e di portar via, con la terra, anche la loro ragione di esistere; solo i politici, asserviti ai russi o agli americani, avevano un futuro”. Così decide di evadere nella sua Galt’s Gulch, nella propria Atlantide: “Sulla terraferma la burocrazia era soffocante – dice l’ingegnere – l’idea era di sfruttare il turismo e vendere benzina senza le accise, aprire un bar e un ufficio postale, emettere francobolli. Sarebbero sorte altre iniziative, sull’esempio di altri micropaesi indipendenti, come San Marino. La cosa avrebbe retto: dove c’è libertà c’è ricchezza”. Rosa innalza su una avanguardistica palafitta il suo paradiso fiscale da 400 metri quadrati, lo stesso su cui andrebbero migliaia di imprenditori in fuga dall’inferno fiscale italiano. Come su John Galt nelle pagine della Rand, così sull’ingegnere iniziano a girare un po’ di leggende. Chi è Giorgio Rosa? Cos’è questa Repubblica delle Rose? Ognuno scarica le proprie fobie: per i democristiani ci sono casinò e night club, per i comunisti si tratta di una manovra destabilizzante dello stalinista ed ex-amico Henver Hoxha, per i fascisti è una base sovietica, per altri una radio pirata o una televisione abusiva. Rosa stampa francobolli e vende souvenir. Nonostante la solidarietà proveniente da tante parti del mondo, lo Stato decreta l’abbattimento dell’isola e con mille chili di esplosivo vince la sua guerra, “l’unica che l’Italia sia stata capace di vincere” dice ironicamente Rosa, “capii che in Italia è impossibile essere liberi”.
Altro che Che Guevara e Mao, la vera rivoluzione culturale del ’68 è quella di un ingegnere che ha preferito la “fantasia contro il potere” alla “fantasia al potere”, di uno spirito anarchico che, con un atto di secessione individuale, si sottrae alla coercizione politica. Una rivoluzione persa e poi distorta dai politici romanzieri, ma anche un sogno nazionalizzato: nello stesso luogo dove è stata affondata la Repubblica delle Rose galleggiano altri due fiori, Azalea B e Azalea 1, due piattaforme dell’Agip. Quest’Italia è figlia anche della sconfitta di Giorgio Rosa.
*Link all’originale: http://www.chicago-blog.it/2012/09/20/lisola-dei-veltroni/
veltroni ha scritto questo???
Mi pare strano
Un impresa che ci deve far capire e sognare. Dovremo riprovarci e riprovarci.