La recente costituzione di movimenti politici che affermano di ispirarsi alle idee liberali o libertarie (mi riferisco a “Fermare il declino” e a “Forza evasori”, due movimenti politici molto diversi fra loro) ha spinto alcuni liberali o libertari a storcere il naso. Credo che in alcuni casi dietro questo scetticismo ci sia in parte la convinzione che il liberalismo è un pensiero d’élite che per definizione non può essere condiviso dalla massa e, in parte, la convinzione che il liberalismo non è compatibile con un partito politico.
In questo articolo provo a rispondere alla prima domanda (il liberalismo può essere condiviso dalla massa?) lasciando la seconda domanda (il liberalismo è compatibile con un partito politico?) eventualmente per un articolo successivo.
Prima di tentare di rispondere alla domanda se il liberalismo può o meno essere condiviso dalla massa è indispensabile premettere il significato che uno personalmente attribuisce ai termini ‘liberalismo’ e ‘massa’.
Dal mio punto di vista, il liberalismo è un sistema di riferimento. Quello che intendo dire è che il liberalismo, nelle sue diverse forme, è una visione filosofica coerente nei limiti in cui ha il suo fondamento nella legge intesa come principio astratto e generale, cioè come limite al potere. Il liberalismo è quindi antitetico alla visione oggi quasi universalmente data per scontata in Occidente (soprattutto nell’Europa continentale, ma non solo) in base alla quale la ‘legge’ è il provvedimento particolare, cioè lo strumento di potere.
Per il liberalismo è l’autorità a derivare dalla legge. Per il totalitarismo, viceversa, è la legge a derivare dall’autorità. Cioè: per il liberalismo è l’autorità a orbitare attorno alla legge intesa come principio astratto e generale (il quale è indipendente dalla volontà dell’autorità che lo deve scoprire, custodire e difendere tanto quanto le regole della lingua italiana sono indipendenti dalla volontà dei linguisti), mentre per il totalitarismo è la ‘legge’ (intesa come provvedimento particolare) a orbitare attorno all’autorità, dalla cui volontà essa dipende. In questo senso la differenza fra liberalismo e totalitarismo è una differenza fra sistemi di riferimento.
Tutte le differenze, e anzi le opposizioni, fra il liberalismo e il totalitarismo (fra la società libera e i sistemi totalitari) sono riconducibili all’idea di legge, cioè al sistema di riferimento. Fra queste differenze sono comprese:
– quella in relazione all’idea di uguaglianza davanti alla legge (che per il liberalismo, a differenza del totalitarismo, non può mai comprendere la disuguaglianza legale);
– quella in relazione all’idea di certezza della legge (che per il liberalismo significa impossibilità che la legge cambi arbitrariamente da un giorno all’altro, mentre per il totalitarismo significa precisione del provvedimento burocratico);
– quella in relazione all’idea di libertà (che per il liberalismo è connessa all’assenza di coercizione arbitraria di alcuni su altri, mentre per il totalitarismo è connessa alla possibilità di fare determinate cose per esempio);
– quella in relazione all’idea di democrazia (che, nelle parole di Cubeddu, per il liberalismo consiste nel “riconoscimento politico della soggettività delle scelte”, mentre per il totalitarismo significa regola della maggioranza, per esempio rappresentativa).
Da ognuno di questi due sistemi di riferimento alternativi (quello centrato sulla legge intesa come principio e quello centrato sul potere dell’autorità) scaturisce necessariamente un ordine sociale (per esempio economico) che è incompatibile con quello che scaturisce dall’altro. Il liberalismo produce l’economia di mercato (la quale non può esistere senza la legge intesa come principio e senza le idee a essa necessariamente ed esclusivamente associate); il totalitarismo produce l’economia di comando, per esempio l’economia di piano sovietica oppure la contemporanea ‘economia sociale di mercato’ (la quale è la conseguenza necessaria e diretta della ‘legge’ intesa come provvedimento e delle idee ad essa associate).
Forse uno dei vantaggi maggiori che si hanno con la visione del contrasto fra liberalismo e totalitarismo in termini di contrasto fra sistemi di riferimento è l’enfasi sulla coerenza. Il liberalismo è un pensiero coerente, nel senso che le idee a cui ricorre sono sempre e solo quelle relative al sistema di riferimento centrato sulla legge intesa come principio: per esempio, il liberale non intenderebbe mai l’uguaglianza davanti alla legge come disuguaglianza legale né la certezza della legge come precisione del comando burocratico. Il pensiero totalitario, viceversa, è incapace di coerenza perché, da un lato, ha bisogno del sistema di riferimento centrato sull’autorità per soddisfare i propri interessi e consolidare il suo potere (per esempio ha bisogno dell’uguaglianza davanti alla legge intesa come disuguaglianza legale, senza la quale non potrebbe finanziarsi). Dall’altro, tuttavia, non riesce apertamente a negare il sistema di riferimento centrato sulla legge intesa come principio in quanto, seppure sempre più sotterrato, questo sistema di riferimento sta, più o meno inconsapevolmente, dentro ciascuno. Così il totalitarismo (sia nelle istituzioni sia nei pensieri delle persone) rifiuta il confronto sul terreno per esso pericolosissimo della razionalità (e quindi della coerenza) e, ricorrendo a editti autoritari, adotta l’uno o l’altro sistema di riferimento a seconda di quello che gli fa più comodo, à la carte (come se un astronomo adottasse il sistema geocentrico o quello eliocentrico a seconda di ciò che gli torna meglio nella situazione particolare).
Ciò che distingue la massa dall’élite non è né il livello di reddito, né il livello di istruzione ma a) l’assenza di originalità e individualità del pensiero (come dice Mises, “Le masse non pensano. Proprio per questo seguono coloro che pensano”) e b) l’incapacità o comunque l’assenza di coerenza del pensiero (il tipico esempio sono quei giornalisti che sul piano dell’uguaglianza davanti alla legge condannarono con sdegno il cosiddetto ‘Lodo Alfano’ e che allo stesso tempo osannano o peggio ancora danno per scontata la ‘giustizia’ della progressività fiscale -articolo 53 della costituzione- la quale sul piano dell’idea astratta di uguaglianza davanti alla legge è identica al ‘Lodo Alfano’).
Il sistema politico in cui oggi viviamo è pienamente totalitario: il suo sistema di riferimento è centrato sul potere dell’autorità legalmente costituita, non sulla legge intesa come principio, la quale oggi non c’è, nel senso che non è difesa da nessuno. Come nel caso astronomico prima di Copernico, la massa dà per scontato che l’attuale sistema di riferimento sia l’unico esistente (cioè non si pone il problema del sistema di riferimento, dell’idea di legge). Inoltre, sempre come nel caso astronomico prima di Copernico, se qualcuno, di fronte alle incoerenze del sistema di riferimento attuale, prova a sollecitare un discorso razionale sulla possibilità di un sistema di riferimento diverso e coerente, la massa si chiuderà a riccio e rifiuterà questa discussione (basti pensare a Monti nei cui ‘consigli’ alla RAI sembra implicito un rifiuto del confronto razionale sul tema dell’evasione fiscale): infatti il cambiamento di sistema di riferimento implica mettere in discussione troppe cose che si sono date per scontate e sulle quali uno ha impostato la propria vita, materiale e intellettuale.
Tutto questo può indurre a pensare che il liberalismo sia incompatibile con la massa. Personalmente, tuttavia, non credo che sia il liberalismo a essere incompatibile con la massa ma che sia la causa liberale a esserlo. Non ho dubbi sul fatto che, se un giorno qualcuno, nonostante la massa, riuscisse a vincere la causa liberale, la massa accetterebbe il nuovo sistema di riferimento (e con gioia). In fondo la massa ha finito per accettare il sistema di riferimento eliocentrico: non era il sistema di riferimento eliocentrico a essere incompatibile con la massa ma la causa copernicana. Occorrevano persone capaci di mettere in discussione il sistema di riferimento dato per scontato, capaci di ricercare la coerenza, di andare contro tutti, di mettere in discussione l’ovvio: dopotutto, come dice Hoskin, “La storia della cosmologia non è la facile storia del rifiuto di idee assurde in favore di ciò che (magari dopo averci pensato un po’) è riconosciuto essere palesemente vero, ma la saga eroica del rifiuto conquistato con fatica di ciò che è riconosciuto essere palesemente vero in favore dell’assurdo”.
È vero che nelle scienze sociali (a differenza di quelle naturali) non si può dimostrare la verità, ma è anche vero che in questo caso il sistema di riferimento alternativo a quello oggi dato generalmente per scontato sta già dentro ciascun individuo e quindi anche dentro la massa: nella massa è seppellito molto in fondo, ma ci sta (basti pensare a coloro che sulla base del principio di uguaglianza davanti alla legge sono contrari all’apartheid ma che sono a favore della progressività fiscale: come nel caso del ‘Lodo Alfano’, dal punto di vista dell’uguaglianza davanti alla legge i due casi sono identici) e quindi si tratta di disseppellirlo, di indurli al confronto razionale e a essere coerenti con la parte più profonda e più dimenticata di sé stessi: il sistema di riferimento centrato sulla legge intesa come principio non c’è bisogno di imporlo da fuori.
Quindi il liberalismo, a mio modo di vedere, non è di per sé incompatibile con la massa e ogni sforzo dedicato alla causa liberale e/o a tentare di disseppellire il liberalismo che sta già dentro ciascun individuo è benvenuto: chiudersi nella propria torre d’avorio non aiuta la causa del liberalismo. Ma perché questo sforzo abbia un senso, l’aggressione deve essere anche (e io credo soprattutto) al sistema di riferimento, all’idea di legge, non solo a cose quali il sistema fiscale. Se non si cambia sistema di riferimento, non si distingue la legge dalle misure; se non si fa questo non si distingue il potere legislativo dal potere politico; e senza legge e senza separazione dei poteri, la flat tax (che è già un miglioramento rispetto alla progressività fiscale) può sparire tanto velocemente come un giorno dovesse arrivare. Quello che bisogna aggredire non è solo il sistema fiscale eccessivo e discriminatorio ma, parallelamente, anche la possibilità stessa dello stato di estorcere più tasse di quelle strettamente necessarie finanziare lo stato minimo (per come coerentemente lo si intende) e di adottare un sistema fiscale discriminatorio. E lo stesso discorso vale, naturalmente, per tutte le altre misure e istituzioni totalitarie: dalla banca centrale con potere di stampare denaro o di fissare arbitrariamente il tasso d’interesse alla moneta legale; dall’obbligo di permesso per cambiare la destinazione d’uso di un immobile al diritto di prelazione dello stato sulle opere d’arte, eccetera. Bisogna affrontare il problema anche alla radice e non è detto che affrontare il problema anche alla radice non scuota gli animi e non porti più voti. In fondo, se non ora quando?
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[…] un precedente articolo ho sostenuto che il liberalismo è un sistema di riferimento: ciò che differenzia i liberali da […]
[…] (Original publication: Movimento Libertario) […]
GIUSTO LORENZO.. A CHE COSA SERVE UN ISTITUTO VON MISES SE NON DIVULGA LE OPERE DI VON MISES???
SOPRATTUTTO SE SI TRATTA DI QUELLE FONDAMENTALI!!!!!!
Sono stufo di leggere solo post, vorrei poter leggere anche capolavori come “L’Azione Umana” di Von Mises. Purtroppo però l’edizione in lingua italiana e in versione cartacea è introvabile; per di più l’edizione risale al lontano 1959.
Sarebbe ora che l’istituto che porta il suo nome (Von Mises italia) si attivi per la pubblicazione di un’edizione aggiornata: se non lo fa allora può anche vergognarsi, cosa cacchio ci sta a fare?!?
Beh non condivido l’invettiva contro il Mises Italia (che lavora a ritmi notevoli, e a cui va la mia gratitudine!), ma resta il fatto che una nuova edizione di “Human Action”, con maggior diffusione, sarebbe un assist impareggiabile agli ideali liberali =)
Il problema non è il lavoro svolto ma la scala delle priorità: se ti chiami “Von Mises Institute” devi dare la precedenza alle opere di Von Mises. Mi viene rabbia a vedere sul sito le pagine in italiano su The Economics ad Ethics of Private Property di Hoppe senza poter leggere in italiano The Human Action.
su questo tema
Questo è davvero un bell’articolo, argomentato in modo rigoroso e scritto bene(non è un elogio da poco in tempi come questi, in cui un’esimia cronista del Corrierone arriva a scrivere un periodo ipotetico con protasi al condizionale, alla stregua degli scolari più ciucci). Condivido tutto, ancghe la necessità di na “rivoluzione copernicana”, e-sia pure con una buona dose di pessimismo- l’auspicio che tale rivoluzione possa essere accettata anche dalla massa decerebrata, usa a non discutere ciò che le vien propiosto come indiscutibile. A questo punto però si pone un problema: come? Credo che il prossimo articolo offrirà ampia materia per dibattere su