Date le attuali condizioni, pare decisamente realistico definire l’Italia un “paese in via di sottosviluppo”. Non serve certo che sia io a riportare la sequela di dati ed informazioni che, più o meno quotidianamente, possiamo leggere su giornali vari, questo in particolare, in Rete e – di tanto in tanto – ascoltare anche in tv. Ciò che è innegabile è che siamo in piena recessione economica, che anche per chi non è avvezzo alle teorie degli economisti di “Scuola Austriaca” non è un bel vedere.
Ci sono alcuni indicatori che la storia economica mondiale ci ha tramandato nel tempo, ma che pochi studiosi del regime hanno seriamente approfondito. Uno degli emeriti intellettuali che, invece, ce lo ha segnalato è Charles Adams, che in questo paese è stato tradotto da “Liberilibri”, glorioso editore di libri libertari. Nel libro “For Good and Evil”, Adams mostra al lettore un sacco di evidenze – tutte conseguenza degli eccessi della tassazione – che spiegano perché gli Imperi, i Regni e i Governi – oggi possiamo aggiungere le Democrazie – son miseramente caduti. Tra queste, ci sono alcuni fenomeni sociali che stiamo rivivendo:
1) Un paese non ha futuro quando scappano i capitali;
2) Un paese non ha futuro quando non ci investono gli stranieri;
3) Un paese non ha futuro quando fuggono le menti migliori;
4) Un paese non ha futuro quando prendono il largo anche gli imprenditori, ovvero gli unici produttori di ricchezza che la società conosca;
5) Un paese non ha futuro quando l’emigrazione comincia a trasformarsi in un fenomeno di massa.
Senza che sia necessario essere direttori del Censis o di Demoskopea, la casistica di cui sopra è ormai una realtà, triste, che attanaglia la penisola italiana. Per la cronaca, appena riesco me ne vado oltrefrontiera per scandagliare qualche opportunità interessante per ripensare il futuro, non tanto mio, ma di mio figlio. Giusto per riprendere una domanda che mi sento spesso rivolgere – per chiunque abbia un minimo di amor proprio – è doveroso chiedersi: che fare se l’Italia crolla?
Intanto, era necessario cominciare a predisporsi – con buone letture – a capire che lo Stato non è mai la soluzione, ma il problema. Trovarsi di colpo sotto le macerie non è il massimo della vita. Frédéric Bastiat, troppo poco letto e per nulla insegnato nei diplomifici nostrani, sosteneva: “Di fatto lo Stato non è rimasto disattento. Ha due mani, una per ricevere, l’altra per dare, o come si dice, la mano rude e la mano dolce. L’attività della seconda è necessariamente subordinata all’attività della prima. A rigore, lo Stato potrebbe prendere e non rendere. Ciò si è ben visto, e si spiega con la natura porosa e assorbente delle sue mani, che trattengono sempre una parte e talora tutto quello che toccano. Ma quello che non si è mai visto, che non si vedrà mai e neppure si riesce a concepire, è che lo Stato renda al pubblico più di ciò che abbia preso (in realtà per un po’ lo si è visto, facendo dei debiti)”.
Chi ha avuto il buongusto di frequentare quegli autori coerentemente liberali, di cui Bastiat è un mirabile esempio, sa bene che la “crisi” che è cominciata nell’ormai lontano 2008 non è figlia del “turbo-capitalismo” o del “neo-liberismo”, ma dell’eccessivo statalismo, dell’interventismo più bieco e immorale, dell’indebitamento il cui termine è sine die e – non ultimo – del monetarismo farlocco di chi ha sempre pensato che le banche centrali fossero una panacea. Non v’è dubbio alcuno che ognuno di noi, in quanto individuo, non può che sentirsi quasi impotente di fronte ad un sistema che non ammette, da almeno 20 anni, alternative politiche serie e liberali. L’indipendentismo poi – diciamocelo fuor di metafora – è naufragato nell’ignominioso leghismo di Bossi prima e di Maroni oggi (che continuano il loro gioco delle parti). I nuovi secessionisti non hanno ancora trovato una quadra purtroppo. Ciononostante, ciascuno di noi ha potuto far uso di qualche strumento per difendersi legittimamente dalla violenza quotidiana perpetrata dal Leviatano, partendo col rispetto di quello che ho avuto modo di chiamare a suo tempo “il decalogo dell’Individuo libero”:
1) L’individuo libero non cercherà mai il consenso della massa;
2) L’individuo libero vivrà esclusivamente per la sua opera;
3) L’individuo libero non aggredirà mai la proprietà di un altro individuo;
4) L’individuo libero avrà il diritto di stare con chi più gli aggrada;
5) L’individuo libero sarà obbligato solo in forza di un contratto con altri individui (quindi lo scambio avviene solo mediante contratto);
6) L’individuo libero difenderà legittimamente il frutto del proprio lavoro;
7) L’individuo libero difenderà legittimamente la propria vita;
8) L’individuo libero crede nel buon senso, nella consuetudine e nella common law;
9) L’individuo libero vivrà pacificamente ignorando lo Stato;
10) L’individuo libero è intollerante con gli intolleranti.
Coloro che hanno rispettato questi dieci suggerimenti non escludo abbiano già deciso di trasferire la loro residenza altrove. Altri, invece, ne hanno fatto buon uso per resistere all’arbitrarietà e alle prevaricazioni dei governi (evadere il fisco è sempre un dovere morale, soprattutto da quando s’è insediato Mario Monti) e – se particolarmente avveduti – hanno risparmiato da tempo in oro, argento o altri metalli preziosi, anziché lasciare i propri denari su qualche conto corrente bankitaliano. Tra le persone di buon senso, vige una regola: “La mia libertà finisce dove inizia quella di un altro”. Lo Stato non è avvezzo a rispettare certe regole, ragion per cui siamo nelle condizioni disperate in cui ci hanno cacciato, non senza – per dirla col grande V – che qualche bontempone liberale sia scevro di colpe.
Per questo motivo – e chiudo – una cosa deve essere chiara a tutti: se l’Italia crolla non è solo colpa di Sansone, ma anche di tutti i Filistei, i quali da bravi e devoti ominicchi, piglianculo e quaquaraquà hanno votato Sansone per anni e hanno succhiato dalla sua tetta! Lasciate stare le trilaterali varie!