“Gli Stati Uniti vanno fieri di essere un faro della democrazia, ma è molto probabile che nessun presidente degli Stati Uniti sia mai stato eletto dalla maggioranza degli americani adulti… siccome la partecipazione al voto viaggia al di sotto del 60%, un candidato dovrebbe ottenere l’85% o più dei voti per essere eletto dalla maggioranza. Il voto obbligatorio, come in Australia e in più di altre due dozzine di Paesi, risolverebbe il problema… la maggiore partecipazione al voto migliorerebbe il funzionamento della nostra democrazia, nel senso che rifletterebbe meglio l’orientamento della popolazione.” (P. Orszag)
Peter Orszag è attualmente vice presidente di Citigroup ed è stato consigliere di Obama per l’amministrazione e il budget. Quando ho letto questa sua proposta in un articolo sul sito di Bloomberg, ho subito pensato che forse negli Stati Uniti, nonostante tutto, ci sono ancora anticorpi libertari sufficienti a contrastare queste idee balzane, ma ho anche avuto il terrore che se qualcuno lo proponesse in Italia il giorno dopo diventerebbe legge con voto unanime.
Non tanto perché anche uno solo di coloro che vogliono governare gli italiani sia interessato al miglioramento del funzionamento della democrazia, quanto perché rappresenterebbe l’occasione per mettere ancora una volta le mani in tasca a una fetta di cittadini (oggi potenzialmente almeno un terzo degli aventi diritto al voto) punendo la loro astensione dall’andare alle urne. Probabilmente la definirebbero una sanzione, ma di fatto sarebbe una tassa sull’astensione. L’ennesimo balzello imposto da uno Stato obeso che farebbe di tutto pur di non dimagrire neppure di un etto e da una casta che potrebbe così sostituire una parte di quelli che adesso vengono (con grande disprezzo della verità) definiti rimborsi elettorali.
Qualora votare diventasse obbligatorio, quello che alle lezioni di educazione civica che ognuno si sentiva propinare già alle scuole elementari era definito, oltre che un diritto, un “dovere civico”, diventerebbe l’ennesima restrizione della libertà individuale. Una prospettiva che dovrebbe essere avversata da chiunque abbia anche solo minimamente a cuore le sorti della libertà.
Tra l’altro, credo ci sia da dubitare sul fatto che il voto obbligatorio migliorerebbe il funzionamento della democrazia. Chi attualmente non va a votare lo fa o perché non vuole essere governato, oppure perché non gli interessa chi governa o, infine, perché non condivide il programma e le idee di nessuno dei candidati.
Tra quelli che non vogliono essere governati, una parte praticherebbe la disobbedienza civile, continuando ad astenersi e rifiutando di pagare la tassa sull’astensione; un’altra parte pagherebbe la tassa maledicendo una volta di più lo Stato e, infine, qualcuno andrebbe al seggio lasciando la scheda bianca o riempiendola con frasi più o meno politicamente scorrette. I disinteressati o gli insoddisfatti, invece, andrebbero molto probabilmente al voto lasciando la scheda bianca. A mio parere non vi sarebbe alcun miglioramento sostanziale nel funzionamento della democrazia, se non un aumento forzoso del tasso di partecipazione al voto.
Un’ultima considerazione: più questi ingegneri sociali della democrazia ritengono che gli individui siano incapaci di badare a se stessi e debbano essere guidati come un gregge di pecore, più vorrebbero che costoro partecipassero al voto. Ma essere ritenuti sostanzialmente deficienti tranne quando è il momento di votare o pagare le tasse dovrebbe far riflettere chi corre alle urne come se fosse una pratica religiosa. Quella forma di religione che, secondo Mencken è “l’adorazione degli sciacalli da parte dei somari”.
Giustamente un tempo Pannella ricordava che l’obbligo di partecipare alle consultazioni elettorali è proprio delle democrazie bonapartiste, non delle democrazie liberali.