“La corrispondenza qualitativa e quantitativa fra imposte e servizi resi dallo Stato definisce in misura significativa il rapporto di ognuno di noi con lo Stato stesso. Contribuisce a fare di noi dei Cittadini. Se assente ingiustificata, ci identifica come sudditi.” (N. Rossi)
Spesso mi è capitato di essere d’accordo con quanto dice o scrive Nicola Rossi, senatore e presidente dell’Istituto Bruno Leoni. Non questa volta.
Certamente se vi fosse corrispondenza qualitativa e quantitativa tra imposte e servizi resi dallo Stato sarebbe meglio rispetto alla situazione attuale, ma non credo che ciò sarebbe sufficiente per considerare le persone cittadini e non sudditi.
Innanzi tutto, la corrispondenza tra imposte e servizi potrebbe forse verificarsi a livello aggregato e, in qualche caso, a livello individuale, ma è nella essenza redistributiva dell’azione statale la generazione di due categorie di individui, quelle che John Calhoun definiva tax payers e tax consumers, ossia contribuenti netti e beneficiari netti dell’imposizione fiscale. Essendo quest’ultima, già dall’etimologia, non volontaria, i contribuenti netti sarebbero in ogni caso assimilabili a sudditi. Peraltro, anche nei casi in cui vi fosse corrispondenza tra imposte e servizi a livello individuale la persona resterebbe, a mio parere, un suddito, dato che non avrebbe la possibilità di scegliere se accettare o meno quei servizi, né di rivolgersi a un altro fornitore (in alcuni casi potrebbe farlo, ma ciò non lo esenterebbe dal pagamento delle imposte).
Occorre poi considerare che all’aumentare del raggio d’azione dello Stato, tende ad aumentare l’imposizione fiscale e, al tempo stesso, aumentano le dimensioni dell’apparato burocratico che assorbe una parte via via crescente del gettito fiscale, il che rende sempre meno probabile la corrispondenza tra imposte e servizi resi anche a livello aggregato.
Ogni volta che si ritiene non rinunciabile l’intervento dello Stato, come fanno anche i liberali classici in talune circostanze, si finisce quindi con il giustificare la riduzione dell’individuo alla posizione di suddito.
A mio parere, un grande punto debole del liberalismo classico consiste nel ritenere lo Stato un male necessario, minimizzabile mediante vincoli costituzionali. Purtroppo non c’è costituzione che effettivamente contenga la tendenza espansionistica dello Stato. La storia ne ha già dato numerose dimostrazioni.
Tutto ciò che è controintuitivo sembra folle. Ricordiamoci che il “De revolutionibus orbium caelestium” di Copernico rimase al’Indice fino a Ottocento inoltrato. Era davvero intollerabile che qualcuno, calcoli astronomici alla mano, mettesse in dubbio un principio così evidente come quello della terra immobile e del sole che gira: un’evidenza, tra l’altro, confermata dfalle Sacre Scritture. Oggi, morto Dio e crollato il marxismo, ci è rimasta un’ultima divinità, lo Stato. Metterne in dubbio la necessità è una bestemmia. Come può svolgersi la vita delle comunità umane senza un “disegno intelligente”? E chi può essere il disegnatore se non lo Stato? Viviamo davvero in un’epoca bislacca. Dal Caso – ci dicono- può essersi sviluppato l’essere umano, senza l’ intervento di alcuna Intelligenza esterna, ma le società umane senza un Pianificatore finirebbero nel Caos. Il processo mutazione-selezione è benefico e progressivo, il mercato è selvaggio.
Completamente d’accordo. Lo Stato va abolito. Oggi sembra una tesi folle o impraticabile, ma un tempo sembravano folli anche coloro che affermavano che la terra è rotonda e gira attorno al sole.