Oggigiorno, il problema più grande consiste nel fatto che il cittadino si ritrova, suo malgrado, nelle grinfie del potere politico. Pensare tutta l’esistenza secondo le logiche e la metrica della politica, celare lo scorrere e il fluire della realtà usando questa parola come schermo (con gli intellettuali che prendono lo spunto da Platone e da parecchi altri filosofi), mettere tutto nelle mani dello stato e ricorrere a esso in ogni circostanza, subordinare i problemi dell’individuo a quelli del gruppo, credere che gli affari politici riguardino in realtà tutti e tutti siano qualificati per averci a che fare; insomma, tutti questi fattori caratterizzano la politicizzazione dell’uomo moderno e, come tali, racchiudono un mito. Questo poi si rivela nelle credenze e, di conseguenza, suscita facilmente un fervore quasi religioso.
Noi non riusciamo più a concepire la società, se non come un corpo diretto da uno stato centrale onnipresente ed onnipotente. Ciò che prima si configurava come una visione utopistica della società, con lo stato ad assolvere il ruolo del cervello, non solo oggi viene ideologicamente accolto ed approvato, ma è altresì fortemente introiettato nelle pieghe più profonde della nostra coscienza. Agire in modo contrario ci porrebbe in radicale conflitto con l’immaginario collettivo, pressoché universalmente accettato: una punizione che forse non possiamo accettare di buon grado. Non possiamo più nemmeno concepire una società in cui la funzione politica (da parte dell’autorità statale) possa essere limitata da strumenti esterni: siamo arrivati all’idea monistica del potere che arresta il potere. Così come non possiamo più concepire una società caratterizzata dall’autonomia dei gruppi o tra i gruppi, o ancora caratterizzata dal moltiplicarsi di attività divergenti. La supremazia della politica è uno dei presupposti sociologici universali, condiviso da tutti e in costante espansione in tutti i paesi.
Diamo per scontato che tutto debba essere sottoposto senza riserve al potere dello stato; ci sembrerebbe persino incredibile se qualche attività riuscisse a sfuggire al suo controllo. L’espansione dell’ingerenza omnipervasiva e totalizzante dello stato, in tutti gli affari della nostra vita, va esattamente di pari passo con la nostra convinzione che le cose debbano essere per forza così. . . . Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la criticità non sta tanto nel fatto che lo stato sia al centro della nostra vita, quanto soprattutto nella nostra accettazione spontanea e personale di tale condizione. Siamo convinti che, se il mondo deve andare per il verso giusto, lo stato debba disporre di tutti i poteri necessari. . .
La convinzione che i conflitti interiori dell’individuo, così come la realizzazione fattuale dei valori, costituiscano un affare collettivo e sociale e possano pertanto trovare soluzione soltanto nell’ambito politico, si pone solamente come l’aspetto mistificante della resa personale di ogni individuo rispetto alla dignità della propria vita. Poiché io non sono capace di agire per il meglio e di conseguire dei risultati apprezzabili nel corso della mia vita, insisto sul fatto che spetti allo stato farlo al mio posto, per procura. Poiché sono incapace di discernere la verità, chiedo che lo facciano i governanti, per mio conto; così mi libero di un compito oneroso e posso ottenere la mia verità, già bella preconfezionata. Poiché non posso amministrare la giustizia in maniera autonoma, mi aspetto che esista una giusta organizzazione, cui sia sufficiente ricorrere per salvaguardare la giustizia. . . .
Ma, si potrebbe obiettare, è o non è il cittadino politicamente interessato il primo a desiderare la limitazione del potere, anziché dover assistere alla promozione della sua crescita continua? Questa è una grande illusione. Quanto più un individuo si dimostra politicizzato, tanto più si ritroverà a percepire e ad affrontare tutti i problemi configurandoli come problemi politici; e tanto maggiore sarà l’importanza che egli attribuirà all’azione politica, concepita come l’unica via possibile che, in quanto tale, deve essere dotata dei necessari poteri e della massima efficacia. Allo stesso tempo, quanto più politicizzato è quell’individuo, tanto più sarà orientato e attratto da quella forza e da quella forma politica basilare: lo stato. E quanto più farà ricorso allo stato, tanto più, questo, estenderà il suo potere. . . Passo dopo passo, la potenza dello stato aumenta. Le persone sotto l’incantesimo della politica sono sempre meno indotte a vigilare lo stato; politicizzando ogni cosa, essi considerano del tutto normale che lo stato debba continuare a espandere , in maniera costante, la sua area di intrapresa, utilizzando altresì strumenti di potere sempre più sofisticati. Tutto questo diventa legittimo ai loro occhi, in quanto ritengono che tutto si risolverà attraverso l’azione politica.
Articolo di Jacques Ellul per Thefreemanonline.org
Tratto da “The political illusion”
*Link all’originale: http://vonmises.it/2012/05/28/la-grande-illusione/
Traduzione di Christian Merlo
Noam Chomsky ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media[4].
1) La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2) Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3) La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4) La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5) Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6) Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far sì che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8) Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …
9) Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10) Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Abbiamo messo lo Stato al posto di Dio e le funzioni politiche al posto dei riti religiosi. Non voglio dire che è tutta colpa di Hegel, forse il processo era già in atto da tempo, per una serie di ragioni che solo un’attenta analisi storico-sociologica potrebbe sviscerare;certo è però che Hegel ha legittimato sul piano intellettuale una simile operazione. Attraverso l’attualismo di Gentile, anche il fascismo è un suo figlioletto, deforme quanto si vuole, ma pur sempre suo.