In Anti & Politica, Economia

DI MATTEO CORSINI*

“Una soluzione potrebbe essere quella di pagare le imprese direttamente con titoli appartenenti a serie speciali, sui quali viene corrisposto un tasso di interesse pari a quello di riferimento, stabilito dalla Bce, maggiorato di un margine a favore delle banche che li utilizzano come collaterale di prestiti contratti con la Bce. Questi titoli potrebbero essere comunque utilizzati, sia da parte delle imprese sia da parte delle banche che li hanno riscontati, per pagare tasse e imposte allo Stato, oppure contributi previdenziali e assistenziali. Occorre tuttavia evitare ulteriori emissioni di debito pubblico… E’ quindi necessario accompagnare questa operazione con uno swap tra i titoli del debito pubblico detenuti attualmente dal sistema bancario, che dovrebbe oscillare tra i 25° e i 300 miliardi di euro, e i titoli di proprietà del costituendo Fondo patrimoniale, in cui far confluire le proprietà immobiliari e mobiliari dello Stato e delle pubbliche amministrazioni… la liquidità che le banche italiane hanno ottenuto dalla Bce potrebbe rimanere disponibile per erogare nuovo credito.” (G. Salerno Aletta)

Da diversi mesi Guido Salerno Aletta si diletta nel cercare soluzioni per ridurre il debito pubblico italiano. Si tratta di soluzioni un po’ arzigogolate, che, però, credo non confonderebbero né i mercati, né i diretti interessati a questi esperimenti finanziari.

Ogni volta che si pensa a come ridurre il debito pubblico, penso sarebbe utile partire da una premessa fondamentale: con la bacchetta magica lavorano solo i maghi delle favole, mentre nel mondo reale è bene evitare di pensare a incantesimi o giochi di prestigio.

Il punto di partenza riguarda i debiti che lo Stato e le amministrazioni pubbliche hanno nei confronti delle imprese, una cifra che viene stimata in vario modo, ma supponiamo che si tratti di 70 miliardi di euro. Il dibattito va avanti da settimane ed è volto a evitare che una cosa venga chiamata con il suo nome: debito pubblico. In sostanza, ai fini contabili le fatture non pagate dallo Stato e dalle amministrazioni pubbliche sono considerate debito commerciale che, in quanto tale, non viene contabilizzato nel debito pubblico ai fini del calcolo del rapporto tra debito e Pil.

Il fatto, però, che contabilmente non lo si classifichi nel debito finanziario non significa che non sia debito. Per rendersene conto, basterebbe chiedere un parere a un imprenditore che aspetta di essere pagato da diversi mesi.

Come fare, allora, per ridurre questo debito commerciale senza trasformarlo in debito finanziario? Salerno Aletta propone che lo Stato emetta titoli speciali, a un tasso di poco superiore a quello di riferimento della Bce, con il quale pagare i debiti commerciali. Le imprese potrebbero poi scontare questi titoli presso le banche che, a loro volta, li potrebbero utilizzare come collaterale per rifinanziarsi in Bce.

Dato, però, che questo aumenterebbe il debito finanziario (e il rapporto debito/Pil), Salerno Aletta propone di imporre alle banche uno scambio tra titoli di Stato già posseduti e le quote di un Fondo patrimoniale nel quale confluirebbero le proprietà immobiliari e mobiliari dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, in modo tale da non aumentare il debito pubblico.

Alcune considerazioni.

Se le imprese potessero pagare le imposte e i contributi previdenziali e assistenziali utilizzando i titoli speciali, non sarebbe molto meglio consentire loro di utilizzare i crediti direttamente in deduzione dei debiti fiscali? (nota: ho scritto questo pezzo ben prima che Alfano, bontà sua, reduce da una esperienza di governo di oltre tre anni durante i quali evidentemente non ci aveva pensato (sic!) proponesse qualcosa di simile, suscitando lo sdegno di Monti, che ormai ha perso lo humor inglese dei primi tempi e reagisce stizzito a ogni critica o proposta che non gradisce come un qualsiasi governante di lungo corso) Qualcun altro potrebbe preoccuparsi per l’immediato buco nelle casse dello Stato, non colmabile con la timida spending review di Giarda e del neoassunto consulente Enrico Bondi. Qualcun altro potrebbe obiettare che il valore di mercato dei titoli speciali non sarebbe pari al valore nominale, quindi le due cose no sarebbero identiche.

Proprio per questo, dello schema pensato da Salerno Aletta andrebbero chiariti alcuni dettagli che non sono del tutto secondari. Ad esempio, la durata dei titoli. Tempo fa lo stesso Aletta parlava di titoli ventennali.

Ora, se si ipotizza che il titolo abbia una cedola variabile indicizzata al tasso di riferimento della Bce maggiorato di 25 punti base (quello che dovrebbe essere il margine per le banche che utilizzassero i titoli come collaterale in Bce), il suo prezzo corrente dovrebbe essere di poco superiore al 50 per cento del valore nominale, anche senza considerare un premio per la minore liquidità rispetto ai BTP.

Temo che alle imprese verrebbero consegnati titoli al valore nominale e non al valore corrente: in altri termini, se un’impresa avesse un credito di

100.000 euro, suppongo che riceverebbe 100.000 euro nominali di titoli speciali, il cui valore corrente sarebbe però di poco superiore a 50.000 euro. L’impresa, a questo punto, potrebbe scontare i titoli presso una banca, ottenendo un valore ancora inferiore. La banca, a sua volta, riceverebbe dalla Bce una somma inferiore a 50.000 euro, per via degli scarti di garanzia applicati dalla banca centrale.

Per quanto riguarda lo swap tra titoli di Stato posseduti dalle banche e quote del Fondo patrimoniale, al di là dei dubbi circa l’obbligatorietà di uno scambio simile, si tratterebbe di scambiare attività utilizzabili come collaterale in Bce con attività non utilizzabili in Bce e caratterizzate verosimilmente da minore liquidità e maggiori requisiti patrimoniali. Con quale valore, poi, sarebbe tutto da verificare.

Ricapitolando: le imprese hanno 70 miliardi di crediti, a fronte dei quali otterrebbero titoli dal valore corrente di poco superiore a 35 miliardi, pari a liquidità effettiva ancora inferiore a quella cifra. In sostanza, lo Stato sostituirebbe un credito già scaduto con un pagherò ventennale a un tasso di interesse irrisorio. Le banche a loro volta, si vedrebbero costrette a scambiare titoli per 70 miliardi, dai quali verosimilmente riescono a ottenere finanziamenti in Bce per 63-65 miliardi, con quote di un fondo mobiliare/immobiliare illiquido e in cui gli asset potrebbero essere stati conferiti a valore gonfiato. Scontando i titoli alle imprese, potrebbero poi utilizzarli come collaterale in Bce ottenendo circa 30 miliardi di liquidità effettiva, ossia circa 35 miliardi in meno rispetto alla situazione ex ante. Come si fa a pensare che potrebbe esserci liquidità per nuovo credito, francamente mi sfugge.

In definitiva, quello poposto da Salerno Aletta sarebbe un vero affare, ma solo per lo Stato, che vedrebbe invariato lo stock di debito pubblico (finanziario), abbassandone però il costo e allungandone la durata media.

Non sarò forse abbastanza sofisticato, ma a me pare che sarebbe un modo (goffamente mascherato) per mazzolare fiscalmente sia le banche, sia, soprattutto, le imprese creditrici dello Stato.

 

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Showing 2 comments
  • Antonino Trunfio

    quello che mi chiedo è :
    leggiamo analisi interessanti, inoppugnabili, a volte è vero, come questa apparentemente “arzigogolate”, molto più spesso semplici e comprensibili per tutti, e come mai che nessuno abbia interesse a finanziare la diffusione capillare di tali idee ? attraverso per esempio una televisione di vera contro informazione, come per il momento fa solo internet ? servirebbe ogni giorno un TG che smantelli scemenze dopo scemenze che ogni giorno i media in coro proclamano al popolo beota.

  • CARLO BUTTI

    Fin troppo sofisticato, caro Corsini! Il Suo ragionamento è,come sempre, limpido e fondato su deduzioni inoppugnabili. Avremmo bisogno in ogni tempo e in ogni luogo di commenti come i Suoi, mentre di solito si leggono, sulla stampa più diffusa e più accreditata, analisi che riecheggiano la soporifera voce del padrone…

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