DI LEONARDO (VON MISES ITALIA)*
Italia: un Paese ufficialmente in recessione dopo due trimestri di crescita negativa; un debito pubblico a ridosso dei 1.900 miliardi, finanziato da oltre 1.600 miliardi di Titoli di Stato e da una pressione fiscale al 42,6%. Una bilancia commerciale negativa da sette anni, un’inflazione al 3,7% e una disoccupazione all’8,9%, ma che colpisce i giovani con meno di 25 anni per il 31%. Questo è quanto emerge dall’ultimo Osservatorio trimestrale sui dati economici italiani dal titolo “Italia 2011: un anno di sofferenza”liberamente scaricabile qui oppure attraverso il Social Science Research Network qui.
Si tratta del quinto numero di un appuntamento fisso realizzato dalla Mazziero Research che prende in esame l’evoluzione del debito pubblico e il rating italiano confrontato con i Paesi dell’Eurozona, lo stock di Titoli di Stato, le Riserve ufficiali della Banca d’Italia, il Prodotto Interno Lordo e labilancia commerciale, il livello di inflazione e di disoccupazione. Una grande mole di dati provenienti da enti e istituzioni diverse che vengono riuniti in un unico documento, di veloce consultazione. Mi hanno affiancato in questo studio, curando la sezione degli approfondimenti:Leonardo Baggiani, Silvano Fait e Andrew Lawford.
Ma oltre agli aspetti più eclatanti, brevemente riportati in premessa, ve ne sono altri che dipingono a tinte fosche il Sistema Italia, in particolar modo per la Pubblica Amministrazione. Fra questi, ad esempio, il continuo sbilancio fra entrate e uscite; nel 2011, il disavanzo si è affacciato per ben otto mesi su 12, e per quattro di questi le spese hanno superato gli introiti di oltre 18 miliardi, quasi una finanziaria.
Altro aspetto critico, il livello medio dei tassi di interesse raggiunti a dicembre, nel momento più acuto della crisi: il 7,4% per i BTP e quasi il 9% per i CCT (dati Banca d’Italia); un elemento che già a novembre vedeva superare di 2 miliardi la somma destinata nell’anno 2010 al servizio del debito (interessi sui Titoli di Stato).
Giusto per elencare altri elementi di apprensione, tra febbraio e aprile giungeranno a scadenza ben 145 miliardi di Titoli di Stato; titoli che ovviamente dovranno essere ricollocati sperando nella benevolenza dei mercati e nella accondiscendenza delle condizioni di rifinanziamento della Banca Centrale Europea.
Ma l’aspetto ancor più preoccupante è la frenata della crescita, una crescita che non c’è mai stata da oltre un decennio, e che la crisi ha fortemente minato nel 2008 e 2009; da quel momento l’Italia non si è mai risollevata, incapace di raggiungere i livelli pre-crisi, ha tentato un debole rimbalzo più per sintonia con gli altri Paesi, che per meriti propri. Ma il rimbalzo è già terminato, dopo due trimestri di crescita negativa, l’Italia si trova in recessione; d’altra parte non poteva essere altrimenti dopo le manovre finanziarie completamente sbilanciate sulle entrate.
E qui si giunge al punto cruciale, in un Paese dove la Pubblica Amministrazione ha raggiunto dimensioni elefantiache, la misura migliore per crescere sarebbe quella di liberare risorse, diminuire la spesa, restituire all’iniziativa privata la gestione di attività che non trovano nel pubblico un tangibile giovamento in termini di efficienza ed economicità. Purtroppo però la realtà è un’altra, i Governi tecnici o politici (ben 5 tecnici e 6 politici) che si sono alternati in questa Seconda Repubblica, hanno trovato più facile raccogliere i fondi dalle tasche dei cittadini che procedere a dei significativi tagli strutturali.
[The Study is available in English here and here]Articolo di Maurizio Mazziero pubblicato originariamente su Ideas have consequences
* Link all’originale: http://vonmises.it/2012/03/13/ma-che-paese-e-questo/
Il debito pubblico, a quanto mi risulta, era di circa 1.875 miliardi di euro all’entrata del gauleiter monti, adesso, secondo l’Istituto Bruno Leoni è arrivato a 1.950 miliardi di euro e aumenta sempre più.
– istituto bruno leoni- il contatore del debito pubblico.
I media asserviti non n parlano più, meglio parlare della truffa dello spread che cala.