Uno dei capisaldi della teoria economica è il valore economico che diamo alle merci e ai servizi che possiedono una relazione con il nostro benessere. Il valore economico è l’importanza che per noi possiede un bene perché è utile e scarso.
Tale credito va alla fama eterna di Carl Menger e di altri studiosi della Scuola Austriaca che hanno scoperto ed esposto questa conoscenza elementare del valore soggettivo. Hanno poi proceduto ad applicare l’analisi del valore nel campo dei beni complementari, ad esempio, beni che sono necessari per collaborare nella resa di servizi d’uso e, infine, nel campo dei beni capitali, che hanno chiamato “beni di ordine superiore”. La teoria del valore dei beni complementari è diventata poi la chiave per la soluzione di uno dei problemi più importanti e difficili dell’economia: il problema della distribuzione.
Le valutazioni dei consumatori in un’economia di mercato, in ultima analisi, determinano il modo in cui viene distribuito l’ultimo prodotto tra i fattori di produzione in collaborazione. Quanto poco questa conoscenza elementare della valutazione economica sia conosciuta può essere visto dalla diffusa accettazione e dalla circolazione di teorie dei salari che negano qualsiasi relazione col processo di valutazione. Gli Americani lo accettano e la maggior parte delle istituzioni d’educazione economica insegna teorie di “potere di contrattazione”, “potere d’acquisto”, “standard di vita”, “teoria della sussistenza”, o anche la pura “teoria dello sfruttamento.”
La distribuzione attraverso il processo di valutazione sembra essere nota solo a pochi studiosi e scrittori “reazionari” e “superati”. E’ al credito duraturo di Ludwig von Mises il quale, per diversi decenni, è stato il primo “reazionario” tra gli studiosi, un reazionario della ragione e della teoria economica. Per questo egli merita la nostra ammirazione e gratitudine.
Molte persone credono sinceramente che il valore di qualcosa sia determinato dal lavoro utilizzato nella sua produzione; che il suo prezzo dovrebbe riflettere abbastanza oggettivamente la quantità di lavoro messo in essa. Il credo in questa teoria del valore del lavoro, tuttavia, è nato nel mito, non nei fatti. Le esperienze giornaliere rivelano il suo errore. Esempio inverosimile, lo stesso lavoro può essere usato per fare torte di fango come per fare torte di marmellata, ma il valore sul mercato sarebbe diverso.
Un servizio o un prodotto di poco valore in un momento o in un luogo può essere molto apprezzato in un altro momento e luogo. Per esempio, un artista può produrre centinaia di dipinti considerati bizzarri da altri ed essere ricompensato con la fame per il suo lavoro. Ma, lasciate che il suo stile diventi una moda, e per meno lavoro di prima, può divertirsi nel lusso.
Se perduto e alla deriva su una zattera per giorni, un uomo può offrire la sua fortuna in cambio di un hamburger. Eppure, la stessa persona, dopo un pasto vigoroso, non potrebbe offrire un soldo in cambio, anche se l’hamburger non fosse cambiato affatto.
Gli individui hanno diversi giudizi sul valore. Il valore nel senso di mercato, dunque, è soggettivo piuttosto che una determinazione oggettiva. In un certo senso, è come la bellezza. Che cos’è la bellezza? E’ quello che o io o altre persone pensano che sia bello. Dipende dai giudizi di valore soggettivi o personali, giudizi caratterizzati da variazioni costanti.
Un valore, come la bellezza, non può essere oggettivamente determinato. Che tutte le persone possono pensare di certo che un tramonto sia bellissimo, che un dato mostro sia orrendo, che l’oro sia desiderabile, o che le torte di fango siano inutili non altera il fatto che questi sono giudizi soggettivi. Una tale unanimità si limita ad affermare che alcuni giudizi soggettivi sono simili.
Non è affatto sorprendente che molte persone negli Stati Uniti e in tutto il mondo non sottoscrivano la natura soggettiva del valore. Nessuno la capiva abbastanza bene per provare a darne una spiegazione fino all’ultima parte del 19° secolo. In precedenza, persone notevoli come John Stuart Mill e il meglio degli economisti, tra cui Adam Smith e Ricardo, furono ostacolati nel loro sviluppo della teoria economica perché accettarono il costo della produzione o la teoria del valore del lavoro.
Non riuscivano semplicemente a spiegare quelli che sapevano essere i grandi vantaggi del processo di scambio volontario nel libero mercato. Sapevano benissimo che entrambe le parti devono guadagnare quando ognuno ha scambiato quello che voleva di meno per quello che voleva di più, ma non poterono dimostrare che tale aumento doveva essere “guadagnato”, perché non erano in grado di spiegarlo in termini di costi del lavoro. In breve, non erano in grado di vedere come il prezzo del libero mercato avrebbe potuto essere competitivamente o soggettivamente determinato da individui che non avevano una conoscenza precisa dei costi del lavoro o di altri costi coinvolti nella produzione di un elemento in particolare.
Come Adam Smith, tenendo fede a questa teoria del valore del lavoro, abbia potuto vedere i grandi vantaggi del commercio — le benedizioni incalcolabili degli altri, o della società, per l’individuo — ed uscirsene a favore delle imprese private invece che del socialismo, è un miracolo più da attribuire al solido istinto che al ragionamento economico. Marx, in quanto distinto da Adam Smith, seguì la teoria del valore del lavoro fino alla sua logica conclusione: il socialismo. Marx considerava tutte le cose utili come una grande “fondo salari” e credeva che l’intero fondo sarebbe dovuto essere distribuito direttamente ai lavoratori. Poiché permettere ad una qualsiasi parte di questo fondo di essere un guadagno sul capitale, sarebbe stato come un incremento immeritato e, sosteneva, avrebbe portato allo sfruttamento.
Come qualsiasi sostenitore della teoria del costo del lavoro possa credere in nient’altro che al socialismo è difficile da capire. Smith, Ricardo, Mill, e molti altri istintivamente, non logicamente, arrivarono a conclusioni diverse.
Solo se si comprende l’utilità marginale o la teoria soggettiva del valore sulla base degli innumerevoli giudizi degli individui che agiscono liberamente e volontariamente sul mercato, si può procedere in un percorso logico di un credo nella proprietà privata e nel controllo della proprietà. Con questo tipo di comprensione, si può capire perché una persona può avere tutto il diritto di consumare più di quanto potesse mai sperare di produrre dal proprio lavoro.
Uno può, è chiaro, possedere qualsiasi cosa gli altri gli offriranno liberamente in cambio rispetto a quello che egli ha da offrire loro. Questo significa guadagni per tutti i partecipanti nel processo di scambio, guadagni che devono sempre sembrare non guadagnati in termini di lavoro speso. Tuttavia, ciò riflette l’approvazione di tutti coloro che sono interessati in qualsiasi transazione.
L’utilità marginale o la teoria soggettiva del valore non ha bisogno di giustificazione. Perché si basa sullo scambio volontario, funziona senza costrizione alcuna. La teoria del valore del lavoro — la teoria della determinazione del prezzo del lavoro — d’altro canto, fondata sullo scambio non volontario, non può funzionare senza coercizione.
Analizziamo la persona il cui padre ha investito $500 nel settore automobilistico e che si chiede ora a chi debba dare i milioni risultanti. Egli non è più il destinatario dell’incremento non guadagnato quanto non lo è la persona che oggi lavora per un salario nella stessa azienda. Entrambi esistono su ciò che essi stessi non possono produrre e non producono. E se il salariato riuscisse a tagliare quello che potrebbe pensare che siano le ricchezze immeritate dei suoi fratelli “fortunati”, distruggerebbe allo stesso tempo la propria fonte di sostentamento.
Meditiamo su questo salariato. Vive in una casa che non poteva costruire. Forse, dato abbastanza materiale e strumenti correttamente fabbricati e dei piani disegnati da qualche architetto, avrebbe potuto mettere insieme qualcosa che assomigliasse ad una casa. Ma lui non saprebbe come fare un modesto chiodo: la miniera, la lega di metalli, la costruzione dei forni, l’estrusione ed altri macchinari, e così via. Potrebbe fare un martello? Una sega? Portare il legname al suo stato finito? Anche fare la stringa su cui pende il suo filo a piombo? Coltivare e filare e pettinare e tessere il cotone con cui è fatto?
Potrebbe costruire il macchinario che estrae il carbone che usa per riscaldare la sua casa? Non avrebbe potuto fare la lampada che i minatori indossano se ogni ingrediente fosse dipeso esclusivamente dalle sue risorse.
Che dire delle automobili che assembla, una delle quali è di sua proprietà? Né lui né qualsiasi altra persona su questa terra potrebbe produrla da solo. E il cibo che mangia? I vestiti che indossa? I libri e le riviste che legge? Il telefono che usa? Le opportunità che gli vengono costantemente presentate?
Tutto viene eseguito da una vasta opera e processo di scambio, milioni di individui con altrettante varie abilità che lavorano in modo cooperativo e competitivo — un mondo di energia complessa e fluente, la cui organizzazione è più complicata di quanto qualsiasi persona possa capire, per non parlare del controllo. Altri — la società passata e presente — pongono beni e servizi e conoscenze a lui raggiungibili in una tale varietà e abbondanza, che da solo non potrebbe produrre in migliaia di anni quella parte che egli consuma in un solo giorno. Ed ottiene tutto questo in cambio del proprio magro sforzo.
La cosa stupefacente è che per lui è possibile gudagnare senza alcuna variazione nei suoi sforzi, nelle sue capacità, nella sua conoscenza. Lasciate che gli altri diventino più creativi e più produttivi, e potrete ricevere di più in cambio di quello che avete da offrire. Tra parentesi, per lui è anche possibile perdere tutto, come potrebbe accadere se avesse continuato ad offrire nient’altro che frustini.
C’è un fatto ancora più sorprendente. Il nostro salariato può pensare alla sua situazione come sfortunata se paragonata a quella di colui che ha ereditato milioni. È vero, il milionario ha guadagnato molto dalle azioni degli altri. Ma il salariato deve la sua vita alle azioni di altri. Non è che possedere milioni ed avere la vita sono proposte alternative. Non è questo il punto. Il punto è che entrambe derivano dal processo di scambio stesso e che tutto ciò che ognuno ha — che si tratti di auto, case, cibo, vestiti, calore, milioni, conoscenza, o la vita stessa — gli viene dato senza merito nel senso che da solo non ha prodotto tutto.
Noi commerciamo perché tutti noi possiamo ottenere più soddisfazione dal nostro lavoro mediante tale mezzo. Enormi negozi sono a disposizione di coloro che hanno qualcosa da commerciare che gli altri valutano. Nel libero mercato, ognuno guadagna tutto ciò che riceve nello scambio volontario. Ciò è straordinariamente di più di quanto si possa produrre da soli.
Al fine di cogliere appieno il processo attraverso il quale si può consumare in un giorno quello che non si riusciva a produrre in migliaia di anni — il processo attraverso il quale si può guadagnare in un giorno quello che non si riusciva a guadagnare da soli in migliaia di anni — è solo necessario che uno veda che la propria capacità di reddito è in grado di espandersi illimitatamente grazie alla produttività e allo scambio e ai giudizi di valore degli altri.
Questo mondo di energia creativa, questa produttività esterna, poi, diventa di singolare importanza per ognuno di noi. Non solo il nostro benessere — materiale, intellettuale e spirituale — dipende da essa, ma la vita stessa è sotto il suo governo. In breve, ognuno di noi è il beneficiario di questa produttività attraverso la divisione del lavoro e l’acculo di capitale e gli investimenti degli altri.
Cerchiamo di sondare questo mondo di produttività attraverso la divisione del lavoro dal punto di vista di se stessi come potenziali beneficiari della sua generosità. La matematica della fissione nucleare, è nota ad alcuni studiosi. Io, invece, non conosco la matematica più di tanto. Tale conoscenza in teoria può essere mia. Ma posso averla solo aumentando il mio potere percettivo.
Può accadere benissimo che l’aumento richiesto della percezione vada oltre la mia competenza o che io possa scegliere di aumentare la mia percezione lungo altre linee escludendo dal potere percettivo questa linea. Ma, presumendo che ottenga questa conoscenza, l’ho guadagnata? Sì, come se l’avessi acquisita per rivelazione diretta. Diretta, o indiretta attraverso lo studio della conoscenza degli altri, non cambia la questione.
Lo stesso principio si applica ad un prodotto come ad un elemento di conoscenza. Gli yacht di lusso sono disponibili. La loro realizzazione mi è tanto estranea e scollegata come attualmente lo è la matematica della fissione nucleare. Non ne ho uno. Tale possesso in teoria potrebbe essere mio. Sarei potuto diventare il beneficiario della sua esistenza aumentando i miei poteri di scambio, oppure, se tutti gli altri fossero diventati sufficientemente produttivi, avrei potuto averne uno in cambio di sforzi non superiori a quelli che esercito ora.
Ma supponiamo che io ne ottenga uno in cambio dei miei magri sforzi presenti; me lo sono guadagnato? Sì, anche se è simile al modo con cui ottengo un cervo scegliendo il sentiero su cui camminerò e premendo il grilletto di una pistola. Tutto il resto è in dotazione. Il cervo, un miracolo con cui l’uomo non aveva nulla a che fare, ha attraversato la mia strada. La pistola, la polvere da sparo, il colpo, rappresentano l’ingegno creativo che scorre nello spazio e nel tempo di cui io ho solo la più debole delle nozioni.
Come per il cervo, così è con la barca. Me la sono guadagnata come se avessi fatto tutto da solo. Altri nella loro produttività, conoscenza, competenza, hanno accettato volentieri lo scambio che ho offerto loro.
Qualcuno potrebbe sostenere che avrei potuto scambiare il potere per ottenere uno yacht se fossi nato come figlio di un padre che “ha avuto un colpo di fortuna.” Per lo stesso motivo, avrei potuto avere le facoltà percettive per capire la matematica della fissione nucleare data la mia discendenza diversa.
Vedersi in prospettiva in relazione a tutti gli altri è assolutamente impossibile. Riusciamo a malapena a capire noi stessi; la comprensione degli altri è ancora più scarsa. Tuttavia, non è necessario che questa prospettiva sia perfetta. E’ solo necessario che cogliamo l’idea che siamo beneficiari di questo benefattore, questa divisione del lavoro, e che capiamo ed apprezziamo la nostra dipendenza e la nostra relazione con essa.
Visto in questa luce — se stessi come beneficiari e la divisione del lavoro come un benefattore — diventa pertinente riesaminare i propri comportamenti, atteggiamenti, azioni. Se servissimo meglio i nostri interessi individuali, vivremmo in armonia con i fatti della vita, non in disarmonia con essi.
Considerato in questa luce, si dovrebbe fare tutto il possibile per aumentare i propri poteri percettivi e di scambio. E’ solo attraverso l’auto-miglioramento che si può servire sé stessi al meglio. E, chiaramente, è solo con l’auto-miglioramento che si può servire meglio gli altri — cioè, aumentare il benessere di qualcun’altro.
Da chi è composto questo nostro benefattore, questo deposito di energia? E’ composto da individui che, come noi, sono diversi da tutti gli altri e che, come noi, dipendono dagli altri. E quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso questi milioni di altri, se guardati dal punto di vista del proprio interesse?
1. Fiducia in se stessi, una grande virtù, va sottolineato. Il modo per essere autosufficienti è quello di tenersi fuori dalle schiene degli altri ed impegnarsi in scambi volontari — mai in quelli non volontari. Questo è il libero mercato.
2. E’ un fatto primario di osservazione che gli altri, come chiunque altro, lavoreranno al meglio se sarà acconsentito loro la proprietà e il controllo dei frutti del proprio lavoro — e della propria partecipazione nel processo di scambio. E’ nel proprio interesse preservare il proprio incentivo. Questa è l’istituzione della proprietà privata.
3. Come per se stessi, gli altri agiranno creativamente al meglio se lasciati liberi di farlo. Si dovrebbe, quindi, guardare con grande sfavore a qualsiasi interferenza con l’attività creativa e ad eventuali inibizioni del libero scambio e della comunicazione dell’azione creativa. L’interesse proprio è compromesso se ci sono predoni o briganti o autoritari fra questi altri; se ci sono tra di loro uomini che praticano la violenza, la frode, false dichiarazioni, o la predazione. L’interesse proprio soffre se gli elettori utilizzano l’apparato politico per ottenere i propri scopi a scapito della stragrande maggioranza della gente. La forma di governo che protegge il buon funzionamento dell’economia di libero mercato e la sua divisione del lavoro volontaria è un governo limitato.
Affinché ogni individuo salvi la propria pelle ed anima, deve dare come minimo tanto riguardo per i diritti degli altri come fa con i propri. Si dovrebbe essere desiderosi di proteggere le energie creative, il libero scambio e la comunicazione degli altri come quelli propri. Affinché ognuno di noi potrà veramente dire: “Io sono il beneficiario della loro esistenza”.
Se noi come individui salvassimo la nostra pelle e le nostre anime, useremmo tutte le persuasioni morali a nostra disposizione affinché tutti gli uomini fossero liberi
di perseguire la propria ambizione in tutta la misura nelle loro capacità;
di associarsi con altri a loro piacimento per qualsiasi motivo a loro piacimento;
di adorare Dio a modo loro;
di scegliere il proprio mestiere;
di entrare in affari per se stessi, essere i capi di se stessi, ed impostare le proprie ore di lavoro;
di utilizzare i loro beni acquistati o risparmiati onestamente, come meglio desiderano;
di offrire i loro servizi o prodotti per la vendita alle loro condizioni;
di comprare o non comprare qualsiasi servizio o prodotto offerto in vendita;
di essere d’accordo o in disaccordo con altre persone;
di studiare ed imparare ciò che colpisce la loro fantasia;
di fare in generale quello che vogliono, a patto che non violino l’eguale diritto e l’opportunità di ogni altra persona a fare ciò che vuole.
Secondo queste osservazioni, ecco un modo di vivere in armonia con gli interessi degli altri. L’invidia degli altri per realizzazioni o premi può essere fatta cadere naturalmente e facilmente a vantaggio dell’apprezzamento e del piacere. La disuguaglianza, essendo la compagna di squadra della variazione, senza la quale la sopravvivenza è impossibile, sarebbe, pertanto, favorita e non denigrata.
Le ricchezze ricevute in una società libera non sono guadagnate? Solo se tutti i produttori raccolgono straordinariamente più di quanto potrebbero guadagnare in una situazione isolata. I vantaggi derivanti dalla nostra divisione del lavoro sono a disposizione di tutti noi nello scambio volontario, se prevale la libertà. Questi sono i pensieri di chi si crede un beneficiario e che crede che tutti gli altri che agiscono in modo creativo sono i suoi benefattori. Devo la mia vita a loro; quindi se volessi vivere e prosperare, devo lavorare diligentemente sia per la loro libertà che per la mia.
Tratto da “On Freedom and Free Enterprise (1956)” – Traduzione di Johnny Cloaca