Si tratta di una edizione ridotta del famoso libro uscito, per i tipi “Einaudi” nel 1959, all’indomani della conclusione del settennato presidenziale. Contiene quattro saggi tra i più significativi. Piero Ostellino nella prefazione afferma che le “Prediche inutili” sono “una sorte di viaggio attraverso le incongruenze, le distorsioni e le contraddizioni della società corporativa e della natura napoleonica dello Stato unitario”.
Il primo saggio si intitola “Conoscere per deliberare”. Questa frase è divenuta una “parola d’ordine” per chi si batte affinché l’informazione sia corretta perché è un presupposto indispensabile per l’esercizio del diritto di voto. Scriveva Einaudi: “Non conosce chi cerca, bensì colui che sa cercare.” Ebbene saper “cercare” oggi significa avere la consapevolezza che la “verità” che appare non sempre può essere una utile indicazione. Prendiamo la generale avversione nei confronti dei provvedimenti di amnistia ed indulto ritenendo quei provvedimenti incompatibili con il principio della “certezza della pena”.
Di fronte alla tragedia della giustizia – oltre nove milioni di cause e di processi attualmente pendenti – l’amnistia e l’indulto potrebbero, invece, costituire i provvedimenti emergenziali propedeutici alla riforma radicale della giustizia per attuare concretamente il principio della “certezza della pena”. Infatti solo celebrando legalmente cause e processi la pena sarebbe certa.
Costituisce altro tema di attualità la discussione su “il valore legale della laurea”. Scriveva Einaudi: “Essere mera superstizione, lugubre farsa … che … il valore legale del titolo rilasciato dall’autorità pubblica al termine dei varii corsi di studio.” E aggiungeva: “Che cosa altro erano le ‘botteghe’ di pittori e scultori riconosciuti poi sommi, se non scuole private? V’era bisogno di un bollo statale per accreditare i giovani usciti dalla bottega di Giotto o di Michelangelo?”
Il discorso va molto al di là della mera questione se la libertà della cultura sia compatibile con la scuola pubblica. Anzi è lo stesso Einaudi che esclude che voglia richiedere l’abolizione della scuola pubblica. E’ il monopolio, anche in campo culturale, che avversa. “Quello monopolistico consente i mutamenti solo quando sono consacrati da un’autorità pubblica; laddove il metodo di libertà riconosce sin dal principio di poter versare nell’errore ed auspica che altri tenti di dimostrare l’errore e di scoprire la via buona della verità. – e cosi concludeva – Questa è tutta la differenza fra il totalitarismo e la libertà. Il totalitarismo vive con il monopolio; la libertà vive perché vuole la discussione fra la libertà e l’errore; sa che, solo attraverso all’ errore, si giunge, per tentativi sempre ripresi e mai conchiusi, alla verità.”
Altra denuncia della sussistenza di una vecchia convinzione dura a morire è contenuta nel saggio “In lode del profitto” (sembra un eresia anche oggigiorno, il che ci fa riflettere sul cambiamento apparente dei tempi): “Il profitto è il prezzo che si deve pagare perché il pensiero possa liberamente avanzare alla conquista della verità, perché gli innovatori mettano alla prova le loro scoperte, perché gli uomini intraprendenti possano continuamente rompere la frontiera del noto, del già sperimentato, e muovere verso l’ignoto, verso il mondo ancora aperto all’avanzamento materiale e morale dell’umanità”
Luigi Einaudi è stato tra i maggiori pensatori liberali italiani. Ha ritenuto i socialisti “distinti” dai liberali piuttosto che “distanti”. Gli avversari erano altri, ad esempio i conservatori, mentre individuava negli integralisti i nemici da combattere senza tregua. Scriveva nel saggio “Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze fra liberalismo e socialismo”: “Su ogni problema morale, religioso, educativo, familiare, nazionale od internazionale, i due principi della libertà della persona e della cooperazione degli uomini viventi in società, costringono l’uomo, che è uno solo, ad essere a volta a volta e nel tempo stesso, liberale e socialista; o più l’uno o più l’ altro, a seconda del prevalere dell’uno o dell’altro principio.” E aggiungeva: “La diversità tra le due parti è di temperamento; i liberali più attenti ai meriti ed agli sforzi della persona sono propensi a tenersi stretti nell’ ammontare dei sussidi, laddove i socialisti, meglio misericordiosi verso gli incolpevoli, sono pronti a maggiori larghezze. Né il contrasto è dannoso, perché giova alla scoperta del punto critico, per il quale si opera il trapasso dal bene al male sociale.”
Il liberalismo economico, secondo Einaudi, non poteva affatto essere “selvaggio”, contrariamente all’opinione dei dirigisti. “Non fa d’uopo confutare ancora una volta la grossolana fola che il liberalismo sia sinonimo di assenza dallo stato o di assoluto lasciar fare e lasciar passare e che il socialismo sia la stessa cosa dello stato proprietario e gestore dei mezzi di produzione”.
Nemici della libertà della persona e della cooperazione degli uomini viventi sono, appunto, gli integralisti.
“Anche quando il punto critico sia stato toccato, la lotta tra gli uomini devoti ai due ideali liberale e socialistico non è destinata ad attenuarsi, ed è lotta necessaria e feconda; ché, se fa d’uopo che l’individuo sia libero di raggiungere massimi di elevazione individuale, è necessario anche che la gara si compia non coll’abbassare tutti al livello comune, ma coll’elevare i minori a livelli sempre più alti …. Solo nella lotta, solo in un perenne tentare e sperimentare, solo attraverso a vittorie ed insuccessi, una società, una nazione prospera. Quando la lotta ha fine si ha la morte sociale e gli uomini viventi hanno perduto la ragione medesima del vivere.” (bl)
INDICE: Prefazione di Piero Ostellino – I. Conoscere per deliberare – II. Scuola e libertà – III. In lode del profitto – IV. Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze fra liberalismo e socialismo.
*Pernonmollare