Raccomando la lettura di un articolo di Raymond Boudon apparso nell’ultimo numero della rivista “Commentaire”. Si intitola “La sociologie comme science”. È il titolo del suo ultimo libro.
Il professor Boudon, membro dell’Istituto Turgot, è un sociologo mondialmente conosciuto e probabilmente il più importante oggi in Francia.
Distingue nel suo articolo due tipi di sociologia:
La più conosciuta, e quella di cui si parla più frequentemente nei media, studia i fenomeni globali considerando la società un tutto.
La meno conosciuta, e quella su cui insiste Boudon, “ricerca piuttosto la spiegazione di fatti sociali singolari”. Essa prende fondamento dal singolarismo metodologico, un approccio sviluppato da Ludwig von Mises, economista di scuola austriaca.
Tutto ciò sembra un po’ oscuro. Per farmi capire darò un esempio delle domande che si pone da lungo tempo questa sociologia: “perché i tassi di suicidio delle donne sono sempre più bassi di quelli degli uomini?”. È un problema che affronta Emile Durkheim alla fine del XIX secolo. “Perché i tassi di suicidio dei protestanti sono più alti di quelli dei cattolici? E quelli dei celibi rispetto a quelli delle persone che vivono in famiglia?”
È questo il genere di argomenti che caratterizza lo studio dei fenomeni singolari. Il principio di questo approccio è che “i fenomeni sociali sono gli effetti di azioni individuali le cui cause devono essere ricercate in ragioni più o meno coscienti che le ispirano nello spirito degli individui”. È su questo terreno che si è sviluppata la sociologia detta “quantitativa”.
Da notare inoltre quanto dice Bourdon:
“le disposizioni prese in Francia dal legislatore per impedire la raccolta di informazioni giudicate suscettibili di offendere la dignità di gruppi minoritari sono spesso viste come un serio freno alla ricerca”.
Questa fa parte di quelle leggi di censura che accelerano quello che Philippe Nemo, nella suo ultimo lavoro, definisce “regressione intellettuale della Francia”.
Il singolarismo sociologico si è opposto a due dottrine che hanno avuto sino a oggi una forte influenza sulla sociologia: dapprima naturalmente il marxismo, che sostiene che le idee degli individui (le sovrastrutture) sono il prodotto dei rapporti di forza socio-economica (le infrastrutture); e in seguito lo strutturalismo che insomma fa parte delle filosofie del sospetto.
Cercherò di riassumere questo concetto: come il marxismo, lo strutturalismo professa un certo scetticismo verso la libertà perché ci sarebbero della cause occulte nelle azioni individuali. Le loro ragioni sarebbero sempre illusorie. Ve ne sarebbero alcune più profonde spiegate dalle strutture e questo ha dato, a giudizio di Boudon, la cultura della scusa. Se per esempio gli individui diventano delinquenti, è per l’effetto delle strutture sociali, e così facendo questa dottrina ha “minato la nozione di responsabilità individuale”. Ed è così che la sociologia della scusa ha influenzato certi circoli della magistratura, la sociologia compassionevole ha inciso sulle politiche dell’educazione, la critica letteraria sulla messa in scena teatrale.
Diamo ora una illustrazione del metodo dell’individualismo sociologico e della sociologia quantitativa. Alla domanda “credi in Dio?”, nel mondo occidentale si ritrovano le seguenti risposte per classi di età e per livello di istruzione.
Negli Stati Uniti dichiara di credere in Dio il 98% della popolazione anziana, e il 95% di quella giovane. Suddivisi in base all’istruzione troviamo il 97% fra coloro che hanno un basso livello e il 94% fra quelli con livello alto.
In Italia i risultati sono simili: 94% / 95% per età e 91% / 86% per livello di istruzione.
Risultati simili anche in Inghilterra: 89% ma 63% fra i giovani e 81% e 67% per livello di istruzione.
Risultati simili in Germania.
E in Francia: 77% / 51% e 65% / 57%. È dunque in Francia che la percentuale delle persone che dichiarano di credere in Dio è la più bassa.
Alla domanda “credi al peccato?” si ritrovano risultati simili. Negli Stati Uniti 91% / 92% di si per classe di età e 89% / 87% per classe di istruzione, quindi poca differenza. In Italia 81% / 68%, quindi un leggero abbassamento fra i giovani e 75% / 65%.
In Francia 55% / 38% (netta diminuzione fra i giovani) e 46% / 41% per livello di istruzione.
Questa indagine ha proseguito con altre domande. Ecco le percentuali delle persone che affermano l’esistenza di principi assolutamente sicuri che permettono di distinguere il bene dal male. Negli Stati Uniti: 55% / 43% e 55% / 40%. In Francia 35% / 15% e 27% / 22%.
Ho prima scritto che in Francia il 51% dei giovani crede in Dio, ma se cercate la percentuale di chi dice: “Dio è importante nella mia vita”, questa scende al 15% (68% negli Stati Uniti e 58% in Italia).
L’indagine è quindi proseguita con domande simili, per esempio “credi all’inferno?”: 74% fra i giovani degli Stati Uniti (di più che fra i vecchi), 35% in Italia, 14% in Francia, o “credi nel cielo?”, 89% fra i giovani degli Stati Uniti, 50% in Italia, 28% in Francia. E, altra domanda molto interessante, le percentuali di coloro che dichiarano di credere nell’anima: 93% fra i giovani negli Stati Uniti (proporzione identica a quella dei vecchi), 79% in Italia, 56% in Francia.
Su tutti gli argomenti, la Francia presenta le percentuali più basse.
Raymond Boudon commenta nel suo articolo questi risultati: “le risposte scettiche riguardo le religioni, i loro dogmi, la loro importanza, sono più frequenti fra i più giovani e i più istruiti, essendo il livello di scetticismo, per ragioni storiche, molto variabile da paese a paese. Gli italiani o gli americani restano nettamente più religiosi dei francesi e dei tedeschi.”
Boudon spiega quindi che non si sta osservando un ritorno di religiosità nel mondo occidentale ma che non si rileva nemmeno un’evanescenza del religioso. Sembra esserci il declino di certi valori, come credere nell’inferno, ma questo declino è lieve e comporta una notevole eccezione. Cito: “una sola nozione, uscita dalla tradizione religiosa, mostra una notevole resistenza: quella dell’anima … L’indagine sui valori mostra anche con forza un altra tendenza, che oggi il valore sacro per eccellenza è quello della dignità umana …”
Vi ho dato una visione di questo approccio sociologico. Se volete saperne di più è sufficiente leggere le opere di Raymond Boudon. Ha pubblicato numerosi libri: “Il relativismo” nel 2008, “La rationalité” nel 2009 e, in precedenza nel 2002, una piccola opera intitolata “Declino della morale? Declino dei valori?”. Questo libro mostra che la morale non è assolutamente declinata, ma per rendersene conto si devono evidentemente interrogare gli individui nella loro vita interiore piuttosto che le collettività o i gruppi o la società. È ciò che fa l’autore.
Tratto da Institut Tourgot – TRADUZIONE DI GIOVANNI CELLA
Il libero arbitrio pone lo stesso problema di Dio:non si può dimostrarne l’esistenza, il che non significa che vada razionalmente negato. Postula un atto di fede (ma anche il principio epistemologico della falsificabilità non è a sua volta falsificabile, quindi si basa su una scelta arbitraria). L’importante è la coerenza. Un libertario che neghi il libero arbitrio si contraddice, chi libertario non è può fare altre scelte. Il resto è chiacchiera.
la tua è una posizione accettabile, al contrario di quella del sociologo dell’articolo.
il discorso del rapporto tra libero arbitrio e teologie è molto complesso…
comunque mi premeva focalizzare 2 cose:
– che la sfiducia nel libero arbitrio non l’ha inventata nè marx nè lo strutturalismo ma è vecchia come il mondo e quindi il sociologo lì sopra o ci fa o ci è
– forze impersonali esistono eccome, siamo tutti un calderone di genetica, ambiente, esperienze, insegnamenti, traumi, mode, istinti, paure, ecc. che il ricorso teorico al libero arbitrio mi lascia esterrefatto.
Non si uccide perché si è pazzi(necessità), ma perché si è delinquenti (libertà).E’ aberrante,sulle orme di Lombroso, assolvere un delinquente dichiarandolo pazzo. Non ripeto a pappagallo Thomas Szaz, riferisco quanto mi disse tempo fa uno psichiatra, non certo appartenente a quella scuola che, con termine improprio, viene chiamata “antipsichiatrica”.Le mie conosceze di teologia sono incerte e raffazzonate, ma non mi pare che i protestanti abbiano ridato vigore alla dottrina del libero arbitrio, se è vero che svalutano del tutto le opere, puntando unicamente sulla fede come via di salvezza: questo in conseguenza di una concezione”agostiniana”, secondo cui il peccato otriginale avrebbe corrotto a tal punto la natura dell’uomo da non essere stato sanato neppure col sacrificio di Cristo. Invece il pensiero medievale non ha mai messo in dubbio ilo libero arbitrio; che senso avrebbe, altrimenti, il sacramento della Penitenza(che, guarda caso, il protestantesimo ha eliminato)? Infine, non è affatto vero che nel mondo antico neppure gli dèi avevano il libero abitrio! Semplicemente, erano sottoposti a un Fato più potente di loro, come gli uomini, e degli uomini avevano i difetti. E il detto HOMO FABER FORTUNAE SUAE ci viene dal mondo “pagano”, non l’ho inventato io.
e poi, oh, anche voi quando vi conviene fate i marxisti-strutturalisti: infatti date la colpa del reato di evasione fiscale alle vessazioni dello stato… eheheh!
birbantelli…
siete debolucci in storia della filosofia…
l’uomo da sempre ha sentito che il “libero arbitrio” è insufficiente a spiegare i fenomeni non solo sociali ma anche i comportamenti individuali. tanto che questa intuizione è una delle cause dell’idea della magia, del divino e poi della scienza. per quest’ultima possiamo vederne formulazioni teoriche ad esempio già in grecia 2500 anni fa. il cristianesimo poi tenta una monopolizzazione delle “forze oggettive” attribuendole a un “dio”, mentre nei politeismi manco gli dei avevano libero arbitrio essendo anche loro sottoposti alle forze.
ma la variante cattolica, essendo in fondo un riassunto di tutti i paganesimi, non ha mai negato veramente le forze… e infatti ha posto le basi per lo sviluppo della scienza moderna… e in alcuni casi addirittura dell’ateismo!
alcune frasi tratte dagli scolastici (tutti monaci cattolici):
– l’attribuzione di qualsiasi elemento al dominio pratico della volontà equivale alla negazione della sua necessità, cioè della sua dimostrabilità razionale (giovanni duns scoto)
– la volontà libera è il fondamento di ogni valutazione morale (guglielmo di ockham)
– la volontà è libera nel senso di poter sospendere o impedire il giudizio dell’intelletto (giovanni buridano).
ora, è evidente in queste frasi la sfiducia nella libera volontà come parametro dell’agire umano, nonchè il parallelismo fra queste affermazioni e la filosofia della scienza moderna e delle concezioni strutturaliste o psicoanalitiche.
ma dubito che questi filosofi medievali abbiano letto marx, freud o levi-strauss!
poi sono arrivati i protestanti e hanno rivalutato il libero arbitrio…
il problema di certa sinistra è che confonde conoscenza e giustificazione… voglio dire, il sapere che certi fenomeni deleteri hanno cause impersonali non vuol dire che non ce ne dobbiamo difendere! con la “giustificazione” si torna all’errore cristiano di colpire non il DANNO ma la COSCIENZA di voler danneggiare!
invece secondo me (come nelle società arcaiche) bisognerebbe sanzionare la pericolosità, il danno, non la “volontà”… secondo me uno che uccide perchè è “pazzo” è molto più pericoloso di chi uccide coscientemente con motivi precisi.