Rispetto ai loro avversari collettivisti i liberali hanno un vantaggio che non è sempre apprezzato e io credo che attorno a questo vantaggio possa essere costruita una strategia politica, o quanto meno comunicativa.
Il vantaggio è che in molti casi i principi dei liberali sono condivisi o comunque sentiti anche dai loro avversari, solo che i liberali cercano una coerenza astratta fra questi principi mentre i loro avversari no: ricorrono a questi principi solo quando fa loro comodo.
Basterebbe stimolare gli avversari dei liberali a essere coerenti sui loro stessi principi perché essi crollino dall’interno.
Faccio un esempio: molti collettivisti hanno aspramente condannato il cosiddetto “Lodo Alfano” (l’immunità per le “quattro più alte cariche dello stato” voluta da Berlusconi per proteggere sé stesso dai suoi processi penali) e lo hanno condannato sul piano dell’uguaglianza davanti alla legge, quindi su un piano di principio.
Eppure queste stesse persone difendono la progressività fiscale (o condannano l’evasione fiscale, il che oggi è quasi lo stesso), la quale sul piano dell’uguaglianza davanti alla legge è identica al “Lodo Alfano”. In entrambi i casi infatti viene fissato un parametro arbitrario (in un caso il livello di reddito, nell’altro il livello di carica pubblica ricoperta); in base a questo parametro vengono formate categorie altrettanto arbitrarie di cittadini (in un caso chi guadagna più di x e chi meno, nell’altro chi occupa una carica “alta” e chi una “bassa”); e infine lo stato tratta i cittadini in modo diverso ma uniforme all’interno di ciascuna di queste categorie arbitrarie appositamente formate.
Si provi a chiedere a un elettore di sinistra (ma anche a uno di destra) la differenza, sul piano dell’uguaglianza davanti alla legge (quindi su un piano filosofico o astratto), fra il Lodo Alfano e la progressività fiscale e si registri il suono delle loro unghie che scivolano sugli specchi.
Se gli si dice che la situazione politica attuale è totalitaria in quanto il potere politico è illimitato, o si afferma che «il fatto che i legislatori, almeno in occidente, si astengano ancora dall’interferire in alcuni campi dell’attività individuale – come parlare, scegliere il coniuge, indossare un tipo determinato di abbigliamento, viaggiare – nasconde di solito il crudo fatto che essi hanno effettivamente il potere di interferire in questi ambiti» (Bruno Leoni), questo elettore guarderà il suo interlocutore come si guarda un imbecille. Ma quando gli si fa notare che nel bocciare il Lodo Alfano perché violava l’articolo 3 della costituzione (l’uguaglianza davanti alla legge) la corte costituzionale ha dichiarato che il Lodo Alfano per essere approvato deve esserlo «come legge costituzionale», e cioè che violare l’uguaglianza davanti alla legge va bene se è il più forte (chi detiene la maggioranza qualificata) a farlo, cioè se è la stessa costituzione che dovrebbe difenderlo a farlo, allora si apprezzi il balbettio, o il tentativo disperato di cambiare discorso.
La particolare idea di uguaglianza davanti alla legge su cui sono basati, per esempio, la progressività fiscale e il Lodo Alfano (idea di uguaglianza davanti alla legge che è unicamente associata all’idea di legge dominante nello stato moderno: il positivismo giuridico), si chiama disuguaglianza legale. Incidentalmente, questa è la stessa idea di uguaglianza davanti alla legge (ed è associata alla stessa idea astratta di legge) che è stata applicata dai nazisti nei confronti degli ebrei oppure che sta alla base dell’apartheid. Cambiano i contenuti, ovviamente, ma l’idea astratta di uguaglianza davanti alla legge (e di legge) su cui si basa la progressività fiscale imposta dall’articolo 53 della costituzione italiana è la stessa su cui si è basato l’olocausto. Come dice Pascal Salin, «la sola esistenza dell’imposta progressiva può essere interpretata come segnale di totalitarismo».
Gli avversari dei liberali possono evitare di vedere questo perché sono riusciti a spostare il terreno di confronto dal piano dei principi generali, che essendo un piano filosofico richiede coerenza astratta, a quello economico o “concreto”: quindi essi possono applicare diverse idee di uguaglianza davanti alla legge (e di legge) a seconda dei casi, a seconda di quello che conviene loro in ciascun caso particolare. In altre parole, cambiare terreno di gioco consente ai collettivisti di avere allo stesso tempo diverse e incompatibili idee di legge e di uguaglianza davanti alla legge. Come dice Oakeshott, «Nessuna di queste due disposizioni di pensiero [la telocrazia e la nomocrazia, termini formati da Oakeshott per indicare rispettivamente il potere politico illimitato e quello limitato dal potere legislativo] è stata esattamente riprodotta nelle attività di qualsivoglia governo europeo, oppure nelle organizzazioni di opinioni che costituiscono i partiti politici. Nei tempi moderni, ogni governo e ogni partito politico ha sentito l’attrazione sia di convinzioni telocratiche che nomocratiche. In effetti, l’Europa moderna ha inventato per sé stessa un vocabolario politico in cui ogni parola ha due significati – uno appropriato per la telocrazia e l’altro appropriato per la nomocrazia. Queste disposizioni di pensiero sono i poli fra i quali le opinioni europee su questa materia si sono inarcate, per così dire, per quattro secoli e mezzo. E io penso che la politica dell’Europa contemporanea, per essere capita, debba essere riconosciuta come il risultato della tensione fra queste due disposizioni».
Sorprendentemente, nello spostare il terreno di confronto sul piano economico o “concreto” i collettivisti sono stati purtroppo aiutati da quei non pochi liberali che, avendo una innata avversione per le “chiacchiere filosofiche” e una inclinazione per le questioni più pratiche e concrete, ed essendo (a ragione) sicuri della solidità delle loro argomentazioni economiche, hanno identificato e continuano a identificare il liberalismo con la libertà economica trascurando l’altra faccia della medaglia: l’idea di legge (da cui dipendono le idee di uguaglianza davanti alla legge, di certezza della legge e di democrazia, per esempio). Come dice sempre Leoni, «anche quegli economisti che hanno difeso nel modo più brillante il libero mercato dall’interferenza delle autorità hanno, di solito, tralasciato la considerazione parallela che nessun libero mercato è veramente compatibile con un processo di legislazione centralizzato da parte delle autorità».
Sul piano intellettuale, lo spostamento del confronto dal terreno filosofico a quello economico non ha avuto nessun effetto sulla posizione dei collettvisti: la battaglia teorica e intellettuale essi la hanno persa da tempo. Come oggi afferma per esempio Pascal Salin in Revenir au capitalisme le teorie economiche della Scuola Austriaca hanno letteralmente sbaragliato tutte le altre: semplicemente esse sono state dimostrate essere giuste su un piano teorico e sono continuamente confermate su un piano empirico (ahinoi). Quindi su un piano intellettuale il terreno economico non è favorevole ai collettivisti.
Ma su un piano politico, invece, questo terreno è loro estremamente favorevole e ignorare questo fatto è stato, secondo me, un grande errore di una parte del liberalismo.
Il mass-man, l’uomo che appartiene alla massa, vota infatti guardando dentro di sé e guardando all’immediato. Egli non ha letto Hayek, Mises o Rothbard e quindi non ha strumenti per resistere a un demagogo di destra o di sinistra che, sfruttando la distorta idea di “democrazia” oggi prevalente, può dirgli: “vota per me perché farò i tuoi interessi”. Conta solo l’efficacia con la quale si vuole imbambolare le persone. Nella stragrande maggioranza dei casi queste persone (anche se appartenenti alla élite colta) non hanno gli strumenti intellettuali per capire che nel lungo periodo questo demagogo sta condannando loro, i loro figli e il loro paese a un progressivo ma inevitabile tracollo economico.
Sul piano dei principi, invece, il mass-man non ha bisogno di aver letto Hayek o Leoni per distinguere l’uguaglianza davanti alla legge dalla disuguaglianza legale; per distinguere la legge (il principio generale che esiste indipendentemente dall’autorità che lo deve difendere e custodire) dalla misura (il provvedimento particolare che esiste solo in quanto espressione della volontà dell’autorità che ha il poterle di imporlo); il potere legislativo da quello politico.
Per vedere queste differenze egli può guardare dentro di sé: se gli vengono poste le giuste domande, suo malgrado egli sarà obbligato a riconoscere queste differenze indipendentemente dal suo livello di istruzione. Questa è secondo me la grande differenza, il grande vantaggio che, su un piano politico, il terreno “filosofico” dei principi ha su quello “economico” degli interessi: non c’è bisogno di conoscenza, né di capacità intellettuali, solo di introspezione.
Come dice Antiseri «economia di mercato e stato di diritto nascono e muoiono insieme». Oggi non abbiamo né l’una né l’altro. Se avessimo uno solo dei due, qualunque esso sia, avremmo necessariamente anche l’altro. Io credo che, nonostante la cattiva stampa di cui oggi godono le parole “filosofia” e “idea astratta”, su un piano politico o quanto meno della comunicazione noi abbiamo convenienza a mettere le domande «cosa è la legge?», «cosa è l’uguaglianza davanti alla legge?», «cosa è la certezza della legge?» quanto meno sullo stesso piano della domanda: «cosa ci conviene economicamente?». In questo modo, oltre che contrastare i collettivisti dall’esterno possiamo sfruttare il vantaggio unico del liberalismo su questo terreno per farli crollare dall’interno.
Nella mia limitata esperienza individuale (nelle mie conversazioni con i collettivisti) questo approccio non ha mai fallito.
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Mi sento di affermare che l’amico Giovanni Birindelli abbia posto oggi con queste sue righe, una pietra angolare per l’edificio del libertarismo costruito con i nostri pensieri e riflessioni (piano filosofico) e con le nostre azioni (piano politico). Grazie Giovanni.
@Lorenzo. L’uguaglianza di sacrificio (così come ad esempio l’uguaglianza di “opportunità”, cioè di possibilità, l’uguaglianza di reddito, di capacità ecc.) è una particolare forma di uguaglianza di situazione materiale, o di “end-state”, e in quanto tale, quando è ottenuta con la forza da parte dello stato, essa è incompatibile con l’uguaglianza davanti alla legge. Infatti, poiché siamo tutti diversi l’unico modo per ridurci a un’uguaglianza di situazione materiale è trattarci in modo diverso (applicare la disuguaglianza davanti alla legge): visto che siamo tutti diversi (in merito alle nostre capacità, alla nostra situazione, eccetera…) se viene applicata l’uguaglianza davanti alla legge saremo necessariamente in situazioni materiali diverse. Uguaglianza davanti alla legge e uguaglianza di sacrificio sono quindi due concetti opposti e incompatibili. Per questo secondo me è necessario concentrarsi sul concetto astratto di uguaglianza davanti alla legge: per smascherare i collettivisti i quali necessariamente applicano diverse idee di uguaglianza davanti alla legge a seconda di quello che fa loro comodo: la disugualgianza legale (che è compatibile con l’uguaglianza di situazione materiale ma non con l’uguaglianza davanti alla legge) in alcuni casi e l’uguaglanza davanti alla legge (che è incompatibile con l’uguaglianza di situazione materiale) negli altri.
Dipende, uguaglianza “di che cosa”. I sinistroidi per uguaglianza intendono l’uguaglianza del sacrificio: chi ha più può permettersi di pagare una tassazione superiore perché comunque gli rimangono ancora molti soldi per vivere dignitosamente. Il problema però è l’arbitrarietà di questo metodo.
Non credo nella versione ortodossa dell’olocausto, pur riconoscendo il totalitarismo, razzismo, e militarismo del regime nazista. Che ci si creda o meno, però, mettere la gente in galera per interpretare la storia a modo suo non è molto libertario. È ironico che un dispotismo ne ha generato un altro.
semplicemente un grande articolo, complimenti
Vero, è un grande errore concentrarsi sui temi economici, lasciando di fatto il monopolio dei discorsi sulla legalità e sullo stato di diritto ai collettivisti.
Essi possono così intenderlo secondo i loro due pesi e due misure, cantano vittoria quando riescono ad imporre un nuovo obbligo o un nuovo divieto a qualcuno e, a chi ne denuncia l’illiberalità, rispondono che “un paese civile vive di regole”.
Vero, c’è bisogno di filosofia,grande filosofia, come trovo in Rothbard e Leoni, molto meno negli utilitaristi alla Friedmann, che pur non mi dispiacciono. Quialcuno ha detto che un grande economista non può essere soltanto economista. Quelle del libero mercato sono sostanzialmente ragioni morali, non soltanto di efficienza e di utilità.
Concordo appieno, le ragioni morali soprattutto son quelle che vanno difese.