Premesso che Alfano ha ragione quando sostiene che “lo sviluppo non si ottiene per decreto”, bisognerebbe anche ricordargli che se i decreti proposti dal suo governo prevedono “pagelle online”, “mutui agevolati” e “biglietti elettronici per gli autobus” c’è abbastanza materiale per mettersi a ridere.
Se proprio il governo vuol fare qualcosa, farsi da parte non sarebbe una brutta idea. In tal senso, cominciare col vendere il proprio patrimonio apparirebbe come un primo passo nella giusta direzione.
Da Cernobbio, il presidente della Coldiretti Marini ha affermato: “Lo Stato è proprietario in Italia di 338mila ettari di terreni agricoli, gestiti attraverso amministrazioni ed enti pubblici, per un valore stimato di oltre 6 miliardi di euro, che potrebbero essere venduti agli agricoltori per sostenere le misure necessarie al Decreto sviluppo del Governo sollecitato dall’Unione Europea”.
Queste le parole pronunciate in occasione del Forum internazionale di Cernobbio nel rendere noti i risultati del primo studio sulle proprietà demaniali dei terreni agricoli realizzato sulla base dei dati del Censimento Istat del 2010.
Ancora Marini: “Il censimento – ha sottolineato Marini – ha fatto scoprire l’esistenza di ben 338.127,51 ettari di superficie agricola utilizzata (Sau) di proprieta’ pubblica che, sulla base del valore medio della terra calcolato dall’Inea in 18.400 euro per ettaro, significa la disponibilità di un patrimonio di 6,22 miliardi di euro a disposizione dello Stato che non ha alcun interesse a fare l’agricoltore”.
Non si tratta, quindi, di vendere Colossei e Duomi di Milano, ma di liberare sul mercato centinaia di migliaia di ettari di campi più o meno inutilizzati, che nelle mani dello Stato sono null’altro che un costo, uno sperpero, un pozzo senza fondo.
Secondo un sondaggio elaborato da Coldiretti/Swg e presentato al Forum, il 57% degli italiani ritiene che i terreni agricoli di proprietà pubblica dovrebbero essere venduti agli agricoltori, mentre secondo il 18% sono un patrimonio che lo Stato deve tenersi e per il 14% dovrebbero essere venduti a chiunque ne faccia richiesta e per qualsiasi finalità.
La vendita di queste proprietà pubbliche segnerebbe un passo verso un mercato libero, non inficiato dai continui aiuti pubblici che non fanno altro che distorcere il sistema economico, aggravando i costi dello Stato e spogliando le tasche dei contribuenti.
Lo facesse domattina il governo Berlusconi, assisteremmo finalmente alla prima cosa liberale da quando “Silvio” e Tremonti si sono insediati a Palazzo Chigi.
BUONA NOTIZIA: ROMA — L’isola di Santo Spirito nella laguna di Venezia, a dieci minuti di motoscafo da piazza San Marco e cinque dal Lido, è in vendita. L’annuncio è stato dato ieri dall’immobiliare cui la società Poveglia, proprietaria dell’isola, ha dato l’incarico: la Colliers International. L’isola, su cui da un anno sono in corso lavori di consolidamento dei resti di un vecchio convento, diventerà molto probabilmente la sede di un megalbergo, come è già successo a altre isole vicine. Oppure, chissà, sarà acquistata da un ricco emiro per farne una residenza privata.
Non si può ! Andando ad esaminare nel particolare, si scoprono piccole IRI che si occupano di agricoltura dove si accasano piccoli politici a riposo, che i terreni sono dati in concessione per quattro soldi ad amici ed amici degli amici o che si tratta di siti inaccessibili per la popolazione, come la tenuta di Castel Porziano, le isole di Budelli o Montecristo, parchi nazionali, … Anche le case di abitazione sono tante e non vendibili, ed il motivo è lo stesso. I parassiti sono in Italia gli evasori fiscali occulti e non quelli che del parassitismo ne hanno fatto ragione di vita in piena legalità ed alla luce del sole.
RAGIONE IN PIU’ PER PRIVATIZZARLI :-)
ma non li avevano già privatizzati tempo fa? c’era una legge voluta dalla Lega mi pare. che ne è stato?
In una intervista a Sky Tg 24, Umberto Bossi, ha lanciato una proposta per risolvere contemporaneamente la crisi economica e la disoccupazione giovanile: ” Lo Stato regali terreni ai giovani per renderli produttivi e dare un lavoro alle giovani generazioni. “In agricoltura mancano i giovani, sono tutti vecchi. I giovani qualche lavoro dovranno trovarlo. Se ci sono terreni agricoli che costano allo stato ma non rendono – ha detto Bossi ieri – allora è meglio darli ai giovani, che non li facciano costare li facciano rendere“. 16.08.2009
A Cernobbio la Codiretti ha invece lanciato un’altra proposta: Lo stato vendi questi terreni che valgono circa 6 miliardi di euro.
Tra qualche giorno ricorre l’ anniversario dell’eccidio di Melissa:
Sessantadue anni fa , alla fine ottobre 1949, il 29, caddero uccisi dalla polizia non molto lontano da Crotone, nel fondo Fragalà, tre braccianti poveri: Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito.
Molti altri rimasero feriti tra quella folla affamata, vestita di stracci, che all’alba era uscita , con le bandiere, dalle casupole di Melissa e si era messa a zappare la terra incolta del barone Berlingieri.
Quei morti non erano i primi. Era già caduta, in Calabria, Giuditta Levato e altro sangue era stato sparso in Abruzzo, in Sicilia e altrove durante i moti contadini che scossero il Mezzogiorno in quegli anni convulsi del primo dopoguerra.
Ma Melissa segnò una svolta. Una svolta politica. Erano trascorsi 4 anni dal 25 aprile, quando l’altra metà d’Italia ( che aveva vissuto la straordinaria esperienza della resistenza, della lotta armata, della creazione dal basso di una nuova unità basata sugli ideali avanzati dell’antifascismo e della democrazia progressiva) insorse. Alla testa della insurrezione ci fu la classe operaia che pose così in concreto la sua candidatura alla direzione della vita nazionale.
Tuttavia quella vicenda straordinaria non aveva toccato il Mezzogiorno. E questo fatto pesava . Le vecchie classi dirigenti – colpite ma non liquidate – riorganizzarono le file e passarono al contrattacco; sul terreno economico con la restaurazione capitalistica protetta, foraggiata , organizzata dalla potenza schiacciante del capitalismo americano; e sul terreno politico con la rottura dell’unità antifascista e popolare (espulsione dei comunisti dal governo, 18 aprile, rottura dell’unità sindacale, attentato a Togliatti);
La posta in gioco era decisiva: isolare la classe operaia, ricacciarla indietro, ridurre la sua influenza e collocazione nella vita nazionale, separarla quindi dai suoi alleati naturali e in primo luogo dai contadini, e per questo mantenere il sud assente dalle battaglie democratiche , isolato dal resto del paese; farne una Vandea ( ricordate gli assalti dei “ lazzari del re” contro la federazione comunista di Napoli, le maggioranze schiaccianti ottenute dai qualunquisti, dai monarchici e dai fascisti in tante province meridionali) , impedire in sostanza che le masse povere meridionali entrassero in campo, in modo autonomo, e che la causa della loro emancipazione si saldasse con quella degli operai dei lavoratori , degli intellettuali del resto d’Italia per arricchire di nuovi contenuti la rivoluzione democratica e socialista messa in moto dalla Resistenza.
L’obbiettivo, quindi, era chiaro; chiudere la parentesi, arrestare e invertire il cammino.
Ecco, in breve, il significato storico di Melissa. Ecco il disegno strategico che s’infranse sui calanchi calabresi. Quei morti, quel sangue non furono più – come altre volte nel passato – i morti, il sangue di una delle tante rivolte contadine, cieche, disperate, senza domani. Ma il segno che, finalmente, anche il sud era entrato in campo e che così la rivoluzione democratica, antifascista, socialista della classe operaia italiana non si chiudeva, ma si allargava e si approfondiva includendo come sua tappa necessaria ( e non come una tappa o un compimento della rivoluzione democratica borghese) l’emancipazione del Mezzogiorno la liquidazione del vecchio blocco agrario.
” I reparti specializzati della ‘celere ‘ man a mano, che arrivano vengono inviati nei centri ove il movimento è più forte: i paesi vengono messi in stato d’assedio, le popolazioni terrorizzate con mille prepotenze ed angherie. I palazzi dei vecchi baroni si trasformano spesso in caserme, da dove i reparti della polizia partono al mattino per far caccia di contadini che arano e seminano questa o quella terra. Ed è stato proprio uno di questi reparti, arrivati da Taranto e ospitati prima nel palazzo del barone, che il 29 ottobre si porta sul demanio di Fragalà, a Melissa, è spara con il mitra sui contadini che stanno arando la terra di proprietà comune.
Due di essi muoiono sul colpo : Giovanni Zito di 15 anni e Francesco Nigro di 29; Angelina Mauro, ferita gravemente morirà pochi giorni dopo all’ospedale di Crotone dove sono ricoverati in gravi condizioni altri 15 tra i feriti che non erano stati in grado di scappare.
Sei contadini vengono arrestati.
Dopo la sparatoria, senza neppure da re soccorso ai feriti, i poliziotti scappano, rifugiandosi nel palazzotto del barone. Ma l’indignazione è popolare incontenibile: la commozione scuote tutta l’Italia; lo sciopero generale indetto dalla CGIL il 31 ottobre trova adesione in ogni ceto e categoria “.
Da questa solidarietà, viene al movimento contadino nuovo vigore :dalla Calabria esso si allarga alle altre regioni meridionali, al Lazio, alle Isole; e a fianco dei contadini esso vede spesso impegnati gli operai, vede schierarsi dalla loro parte il mondo della cultura, vivace
, che riprende la denuncia delle insopportabili condizioni del mezzogiorno .
il dibattito sulla questione meridionale si riaccende più vivace che mai e conquista alla causa del Mezzogiorno lo schieramento più vasto: il Governo è isolato e battuto; il consiglio dei Ministri riunito il 15 novembre , prende finalmente la decisione di presentare al Parlamento la prima legge di riforma agraria.