Ieri, Luigi Cortinovis ha postato su questo sito una notizia che evidenzia sia l’ignoranza che la malafede dei cosiddetti “indignados”. Altro che tagli, il decennio di inizio secolo ha segnato un aumento continuo della spesa pubblica, ergo di interventismo e debito statale.
Qualora non bastasse, questa fiumana di “irresponsabiles” brama – a suon di slogan triti e ritriti – una quantità di diritti, che diritti non sono. Spesso si tratta di bisogni, di rado il riferimento è ai valori, perlopiù è comunque una rivendicazione egoistica all’insegna del “pretendo che gli altri facciano ciò che dico io”. E se tutto ciò non solo è possibile, ma passa financo per plausibile, è per via del fatto che il “Secolo breve” ha incistato lo statalismo nelle teste del “popolo” quasi fosse una religione laica. La scuola pubblica ha fatto danni inenarrabili. Il conto, alla fine, sarà obtorto collo salato.
Ha ragione David Boaz quando sostiene che “nella nostra società, molti dei conflitti più controversi sui diritti si verificano quando trasferiamo le decisioni dal settore privato al governo, in cui non esiste proprietà privata”, che è anche come dire laddove non esiste responsabilità, ma solo fame di clientes votanti.
Troppe istituzioni che hanno a che fare con la nostra vita sono diventate pubbliche e quando non c’è un proprietario con un chiaro diritto di proprietà che regola le interazioni tra soggetti, la conseguenza non può che essere il conflitto sociale. Ancora Boaz: “Finché il governo resta il maggior locatore o datore di lavoro, non possiamo aspettarci che i cittadini e i loro rappresentanti siano indifferenti nei riguardi di come viene speso il loro denaro”.
Le società democratiche hanno abdicato completamente ai sani principi libertari fondati sul diritto naturale. Pretendere che la “mano visibile” pubblica ponga rimedio alle necessità di ciascun individuo è come sperare di colpire la luna con un tirasassi. Non si può essere antipolitici (nel senso più genuino del termine) e poi scendere per strada per chiedere al politico di intervenire continuamente. Così facendo ci troviamo di fronte ad un’aporia, ad un rebus senza soluzione.
Una società libera, civile e tollerante non è il frutto degli schiamazzi scomposti di una massa di questuanti (peraltro violenti), bensì il risultato del rispetto di vita, libertà e proprietà di ciascun individuo, il risultato della libera interazione fra soggetti che possono contrattare, il risultato – infine – della privatizzazione di tutto ciò che è possibile privatizzare, onde evitare che il nostro destino dipenda da una casta di inetti e parassiti.
Monsurrò a trattato questo tema su Libertiamo http://www.libertiamo.it/2011/10/19/indignati-di-massa/
Parla di odio ed è interessante! Io questo lo riscontro di recente anche nel mio piccolo, circa il post che ho condiviso qui, col mio commento precedente. Alcuni utenti commentano sul mio blog con una certa cattiveria, come se non vogliono sentire parlare di cause, di opinioni, di ragionamenti che cercano di spiegare, con un’analisi alternativa, il nostro periodo. Come se non si accettasse un confronto. Ve lo ripropongo, cos’ potete capire a cosa mi riferisco. Anche perché la cosa mi ha po’ urtato :-): http://www.pasqualemarinelli.com/index.php?subaction=showcomments&id=1318932193&archive=&start_from=&ucat=3&include_id=101
“onde evitare che il nostro destino dipenda da una casta di inetti e parassiti”
DA INCIDERE SU LAPIDE
Mi è venuta dal profondo del cuore!
L’economia è una scienza empirica, si limita a studiare e classificare sistemi economici teorizzati, o impiegati da qualche popolo nella storia. Non esiste forse nemmeno un corpo di nozioni che possa essere considerato standardizzato a livello mondiale. La scienza economica è solo una raccolta di teorie e pratiche, e magari di alcune di esse si sa se hanno funzionato, non hanno funzionato, dove e perchè non hanno funzionato, ma per discutere di come rendere il mondo un posto a dimensione umana, personalmente credo non sia auspicabile cimentarsi in studi matti e disperatissimi di tomi economici, basta avere un pò di esperienza e buon senso, talvolta anche in ambiti diversissimi dall’ ambiente accademico. Mi dispiace che i tuoi metodi dialettici sono tipici dei sofisti. Non hai analizzato alcune parti salienti del mio discorso, limitandoti ad espellermi a priori dal dibattito, censurando addirittura l’origine della mia istruzione. La scuola pubblica mi ha insegnato a leggere e a scrivere, invece l’esperienza di vita mi ha insegnato che la vera libertà nasce dalle regole: poche, certe (grazie allo Stato), condivise. La libertà senza regole è annichilimento, e visto che noi esseri umani ci troviamo nella disperata condizione di non disporre di una divinità che ci assiste in ogni nostra necessità, l’unico modo di fare regole condivise, è quello della democrazia, e la democrazia ha bisogno di istituzioni statali. Non c’è bisogno di avere il master alla Luiss per capire che quando non ci sono regole condivise, e di conseguenza manca uno Stato che le garantisce, ciascuno si fa le proprie, secondo i propri interessi, secondo la propria forza, e alla fine questo caos è controproducente proprio ai libertari perchè ci si rimane imprigionati in uno scontro senza regole che significa guerra: è quale orrore umano è più opprimente per la libertà se non la guerra? Immagina un gruppo di persone che gioca a poker, in cui chi è di turno fa le regole? Sarebbe un gioco interessante? Un gioco meritocratico? C’è bisogno di studiare Adam Smith o David Ricardo per capirlo?
La scuola può essere pubblica, privata, non è questo il problema, io le ho frequentate entrambe, una cattolica, e una pubblica, eppure non me la sento di condividere la modalità con cui stato scritto questo articolo. Per il resto io mi sento un liberista, ma sento anche che il liberismo è un qualcosa di così delicato che necessita dello Stato per la sua tutela, perchè così come non lo vuole il comunista, così il libertarismo non lo vuole nemmeno l’imprenditore con sogni monopolisti, che l’ha difeso solo quando doveva emergere (vedi Berlusconi). Mi dispiace per te, ma io mi sento di fare la voce grossa, sempre con rispetto per te e il tuo blog sul quale sono ospite, non perchè sono specializzato nella letteratura economica libertaria, ma perché sento di dissentire su come è stato scritto questo articolo. Ti lascio con una definizione di Steven Weinberg sull’ esperto che mi ha spinto a fare la “voce grossa” sul tuo blog ” L’esperto è colui che evitando tutti i piccoli errori, punta diritto alla catastrofe”. Comunque sia ti ringrazio per avermi ospitato, e ti auguro comunque buon lavoro: PS : credo di non essere irresponsabile visto che il mio nick è anche il mio nome e cognome.
Grazie anche te. Apprezzo chi si firma senza nascondere la propria identità, anche se non la pensa come me.
Rispetto la tua opinione, che non mi sembra così dissimile alla mia. Tuttavia mi permetto di muoverti due obiezioni al tuo discorso.
Per prima cosa, hai detto “visto che noi esseri umani ci troviamo nella disperata condizione di non disporre di una divinità che ci assiste in ogni nostra necessità, l’unico modo di fare regole condivise, è quello della democrazia, e la democrazia ha bisogno di istituzioni statali.” Sinceramente già questa constatazione sul bisogno della divinità tradisce il senso di aspettativa che nutri nei confronti dell’ autorità. Non voglio farne una discussione psicologica, anche perché non ne ho le competenze, ma, di fatto, basta un po’ di orientamento nel pensiero filosofico, per sapere che religione, credenza in dio, autorità morale e istituzione statale siano state intimamente collegate nel tessuto storico della società umana. Il problema sta sempre nel definire che cosa è meglio per l’individuo. Nel liberalismo e nel libertarismo, l’individuo non ha bisogno di un’autorità, sia essa “divina”, religiosa, o comunque istituzionale come lo Stato, per rendersi felice: egli troverà la sua felicità da solo, autonomamente.
Per secondo, parli della guerra come se si trattasse di una dinamica naturale dei conflitti umani che solo un’autorità garante come lo Stato può tenere a freno. Purtroppo la storia, soprattutto del Novecento, ci insegna che le peggiori atrocità sono state compiute dagli Stati e da chi aveva il potere politico istituzionalizzato. Quindi supporre che sia lo Stato il rimedio per il male che esso stesso contribuisce in modo determinante a causare è sbagliato.
Il punto è che questi ragazzi pretendo miracoli ad uno stato che invece li sta chiedendo altrove in europa, pur di salvare il “giochetto”… Il dramma dell’individuo è sempre stato quello dell’incertezza del futuro e su questo lo stato ci ha marciato tantissimo. Non mi mervaglia un’affermazione come quella del sig. Esposito. Sul mio blog ho detto la mia. Questo è il link: http://www.pasqualemarinelli.com/index.php?subaction=showcomments&id=1318932193&archive=&start_from=&ucat=3&include_id=101
“Non è un crimine essere ignoranti in economia, dopo tutto si tratta di una disciplina specializzata, considerata dalla maggior parte delle persone una triste scienza. Ma è totalmente irresponsabile fare la voce grossa ed esprimere opinioni in materie economiche mentre si persiste in tale stato di ignoranza”.
(Murray. N. Rothbard)
DIMENTICAVO: LA BARBARIE E’ FRUTTO DELLO STATALISMO, ED IL NOVECENTO E’ LI’ A DIMOSTRARLO.
Non sono affatto d’accordo con questo articolo che trovo molto confuso. Innanzitutto lo Stato è necessario perchè è con esso che si stabiliscono le regole del gioco. L’impresa, il liberismo, hanno bisogno di regole del gioco certe, stabili nel tempo, e che sia chiaro quando vengono cambiate e da chi sono cambiate. Un azienda non può provvedere a tutto quello di cui ha bisogno, come strade , servizi, reti, per questo pagare le tasse, e avere uno Stato che garantisca l’erogazione dei servizi essenziali, è una necessità che interessa principalmente alle aziende e agli imprenditori, altrimenti dovrebbero mettersi a costruire loro le strade, loro le reti dei servizi. Cos’è lo Stato? Lo Stato è una necessità praticamente assoluta per le complesse organizzazioni umane, e non si può assimilare ad un padrone. Lo stato è un accordo sociale in cui si contratta per le regole, diciamo che è la scelta di un arbitro per far rispettare le regole, non è ne un dittatore, ne un padrone unico dell’azienda chiamata nazione.
Per quanto riguarda il diritto naturale, è un concetto da prendere con le molle, perchè dietro quest’ attraente denominazione, usata da illuminati economisti del passato, cova la barbarie pura. Il diritto naturale vale per creature che hanno l’attitudine, l’inclinazione, a vivere in armonia con la natura, ma all’ uomo quest’attitudine manca, proprio in virtù della libertà di cui gode. Una libertà senza regole è un annichilimento. Nel tuo articolo non si comprende se questo Movimento Libertario abbia sfiducia nell’ umanità, oppure ne esalti i pregi.
Non puoi essere d’accordo, e lo capisco: quando ad uno inculcano una frase tipo quella che tu hai scritto, ovvero “Innanzitutto lo Stato è necessario perchè è con esso che si stabiliscono le regole del gioco”, significa che non solo non hai mai letto nulla dei grandi studiosi libertari del passato, ma significa che la scuola pubblica, con te, ha fatto il suo lavoro alla perfezione.
A molti indignados sfugge la radice del problema. Per loro sono i banchieri e i super-affaristi dell’alta finanza, che tra l’altro effettivamente giocano con i soldi degli azionisti compiendo quindi nei loro confronti un’estorsione, mentre gli Stati devono essere la panacea universale. Peccato che senza gli stati i monopolisti delle banche e della finanza non avrebbero avuto man bassa per compiere le loro effettive malefatte.