Fissata oramai per il prossimo 6 gennaio, con i caucuses dell’Iowa, la partenza del grande circo delle elezioni primarie americane restano da valutare quali siano le chances di successo di quei candidati che han fatto della resistenza al colosso statale la divisa della propria campagna elettorale. E, partendo dall’ambito repubblicano, direttamente interessato a queste consultazioni che sceglieranno il candidato ufficiale da contrapporre a Barack Obama non si può, ovviamente, prescindere da Ron Paul, il congressman che per la seconda volta sfida i pesi massimi, un po’ sfiatati a dirla tutta, del suo partito.
Un partito assai restio, per la verità, a cambiare pelle in senso libertario prigioniero, come appare, delle sterili diatribe tra l’ala più di establishment e quella populista che ha tentato, senza riuscire del tutto nell’impresa, di mettere il cappello sul fenomeno politico per eccellenza degli ultimi anni: il Tea Party.
Ebbene, l’avventura pauliana si situa esattamente sul punto di congiunzione tra il patriottismo costituzionale dei padri fondatori, Jefferson in testa, e l’irresistibile moto dal basso nato per contestare l’inesorabile avanzata del big government sotto le diverse amministrazioni presidenziali succedutesi negli ultimi decenni.
Il radicalismo delle soluzioni economiche (prima tra tutte la drastica limitazione dei superpoteri della banca federale), il noninterventismo fulcro di una politica estera lontanissima dalle istanze neoconservatrici e la difesa strenua delle libertà civili messe vieppiù in pericolo da un apparato di controllo statale più occhiuto e pervasivo di quanto lo diano ad intendere politici e grande stampa sono proprio quel propellente alla base del successo della candidatura Paul. E, guarda caso, corrisponde a quel settore in crescita, anche se non maggioritario, nella società americana che ama definirsi tout court “libertaria”.
Si tratta di un segmento che, secondo l’analisi dei politologi arriva al ragguardevole valore del 15 % dell’elettorato, insufficiente, certamente, per prevalere in una contesa durissima come quella delle primarie o, a fortiori, nell’election day di novembre, ma decisivo per la vittoria o la sconfitta dei candidati maggiori.
Quest’ anno, inoltre, a corroborare questa sensazione contribuiscono perfino i sondaggi, tradizionalmente pilotati in favore delle figure meno scomode, che attribuiscono a Paul un consenso oscillante fra l’8 ed il 10%, praticamente il doppio di quattro anni fa quando il Dottore raccolse poco più di un milione di voti rimanendo in lizza fino alla fine come ultimo rivale di John McCain.
Intimoriti da questa crescita, le penne e le lingue più vicine al potere hanno rafforzato il cordone sanitario nei confronti della mina vagante mettendo in atto tutti gli stratagemmi dell’arte mediatica: omissioni, minimizzazioni, promozioni discutibili di personaggi in cerca d’autore. Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, il tentativo disperato di trovare un’alternativa fittizia al grigio Romney per coprire quella reale, Paul appunto, che potrebbe far deflagrare il GOP ( e per la legge dei vasi comunicanti, l’intero sistema bipartitico USA) innescando quella dialettica virtuosa tra antistatalisti e difensori dello status quo in grado, forse, di vivificare il barcollante edificio della democrazia americana. Comunque sia, incassato un ottimo score nel duello interno repubblicano, lo stesso Paul potrebbe essere tentato dall’idea di presentarsi come terzo incomodo nel tradizionale showdown tra elefante ed asinello.
Un’ ipotesi peraltro non negata recisamente dall’interessato e con potenziali sviluppi assai più interessanti di quelli passati esemplificati da meteore come Wallace o Ross Perot. Non si tratterebbe, in questo caso, di far vincere l’uno o l’altro dei presidenziabili, ma di inserire un potente anticorpo nel sistema. Una tossina di nome libertà.
(CONTINUA)
Tanto è l’AIPAC che comanda.
Grazie! In preparazione altri due: il primo sull’altro candidato libertario infiltrato nelle primarie repubblicane Gary Johnson, il secondo sul Libertarian party, gli altri partitini libertari e sui libertari per l’astensione(nobody 2012)
Ottimo pezzo.
Come ho già scritto da un’altra parte
Se mai verrà eletto, gli organizzeranno un bel tour a Dallas su una decapottabile
Quoto.