Leggere che Confindustria, insieme ad una sequela di associazioni parastatali, chiede al governo di intervenire subito, di fare qualcosa, di pensare alla “crescita”, fa accapponare la pelle.
Ai tempi della “vacatio” al Ministero per lo Sviluppo economico, liberato dall’impresentabile Scajola e oggi appannaggio di Romani, Emma la socialista levava alti lai, a cui facevano eco i vari portavoce che lavorano a Radio24. “Serve – han sostenuto – una politica industriale”!
Domanda: cos’è ‘sta “politica industriale” (a cui ha fatto accenno persino il più Napolitano degli italiani qualche giorni fa davanti ai dipendenti di Finmeccanica), considerata così importante? Vuol dire semplicemente che il mercato viene esautorato delle sue prerogative che dato che un ministro, o qualche suo scherano, possono arbitrariamente decidere su quali settori, l’Italia nel nostro caso, deve spendere i quattrini oppure no. Per farla breve, “politica industriale” fa rima con pianificazione, un concetto che i liberali dovrebbero aborrire. Del resto, se la pianificazione fosse tanto indispensabile come mai tutti quei paesi comunisti – che sulla pianificazione hanno fondato le loro politiche nel Novecento – o sono miseramente falliti o continuano ad esistere ma al prezzo di affamare la propria gente? Il Grande Ludwig von Mises, nel 1922, intuì che l’Unione Sovietica non avrebbe potuto durare, per il semplice fatto che sapeva che un sistema in assenza di prezzi – utili a garantire informazioni a produttori e consumatori – era destinato al fallimento. E il tempo, che è galantuomo, gli ha dato ragione ufficialmente nel 1989!
“Kapòzzone”, uno dei portavoce di Berlusconi, è andato in giro per mesi a raccontare che il governo stava lavorando su cosa serve all’Italia per decidere se investire quattrini nel tessile piuttosto che nella meccanica o nell’elettronica. Non credo che il cavaliere, quando ha scelto di diventare imprenditore nel mondo dei media, abbia aspettato un qualche burocrate che gli dicesse dove e come impegnare i suoi quattrini.
Ergo, la domanda corretta da porsi è: “Quando un’impresa assolve alla sua funzione sociale? David Henderson, in un suo libro intitolato “Gli affari sono affari” dimostra come, separando l’attività imprenditoriale dalla missione di creare ricchezza, si faccia un misero servizio proprio a quegli stessi obiettivi sociali, che si pretende d’inseguire. Tito Tettamanti, nella prefazione al libro di cui sopra ha scritto: “Il reddito realizzato da un’impresa è la patente migliore di socialità in quanto un’impresa in attivo e redditizia è in condizione di retribuire correttamente i salari, dare sicurezza ai collaboratori, assicurare benefici collaterali, pagare puntualmente i propri fornitori, creare prodotti o servizi che soddisfano il pubblico”. Ecco, non serve altro.
Pensando al passato italico, un re delle “politiche industriali” di questo paese scassato è stato Romano Prodi. Un consiglio alla Marcecaglia: se ne stia un po’ zitta e si vergogni semmai del carrozzone che capeggia (e dei soldi pubblici che drena). Tra l’altro, un bel tacer non fu mai scritto.
Barisoni però non ha ancora letto questo….
Il Senato americano ha approvato il “Currency Exchange Rate Oversight Reform Act” col quale sono autorizzati i dazi su merci importate negli U.S.A. da paesi che sottovalutano con la frode la loro moneta… Ovvero: dazi negli U.S.A. sui prodotti “Made in China”.
Secondo le stime degli studi effettuati in preparazione di questa legge, lo Yuan è manipolato dallo stesso governo cinese, con un margine di oltre il 40%, col risultato di una concorrenza sleale sui mercati mondiali. Misura demagogica che non riporterà comunque il lavoro e l’industria negli U.S.A.? Guerra commerciale alla Cina? In ogni caso è una legge che contraddice anni di politiche americane in sede di World Trade Organization… Che ha già fatto andare la Cina su tutte le furie.
Una legge demenziale appunto!
La MarciaGaglia , per chi non lo sapesse , è andata in Cina ed ha costruito lì una acciaieria di 100 ettari di superficie : poi torna in Italia a fare la patriota.
Gran parte degli imprenditori grossi legati a Confindustria , hanno delocalizzato all’ estero ed importano le merci in Italia , facendocele pagare a prezzo intero e non scontato.
Ora capite perchè quegli idioti di Radio24 ( la radio di Confindustria ) e Sebastiano Barisoni in particolare ( Focus economia ) , deridono chiunque parli di dazi e regolamentazioni , anche se solo la Lega Nord ne ha chiesto finora il riprestino , soprattutto dal 2005 , da quando la concorrenza cinese ha incominciato a far chiudere centinaia di ditte italiane.
Se dovessero introdurre dei dazi , il loro giochino di produrre all’ estero e vendere in Italia andrebbe a PUTTANE.
Il punto è questo. Uno è liberista fintantoché resta nell’anonimato, e ha bisogno di trasparenza burocratica ed efficienza giuridica-tributaria per emergere in un mercato competitivo. Poi, quando riesce ad avere successo, o diventa un monopolista (caso Berlusconi), o fa di tutto per affaticare i meccanismi di mercato tessendo una rete infinita di cointeressenze (oligopolio), oppure, se si trova con la merda alla gola, invoca sussidi pubblici a manetta per salvarsi le chiappe (caso Fiat emblematico tra le grandi imprese, una vera e propria sanguisuga di soldi pubblici).
In altre parola, è facile fare i liberisti con i soldi propri e gli statalisti con i soldi degli altri.