Stimolato dal recente Focus dell’Istituto Bruno Leoni intitolato “Province: non accorparle ma abolirle” a cura di Andrea Guircin, mi accingo a proporre alcune soluzioni di chiaro stampo libertario che, spero vivamente, possano entrare a far parte del dibattito attualmente in corso. Sono ormai diversi anni che si discute sulla riforma degli enti locale e principalmente sull’abolizione o diminuzione delle province. I vari governi preseduti da Berlusconi hanno sempre sostenuto a parole una diminuzione dei costi della politica e della burocrazia, ma nei fatti le province sono diventate come dei conigli: se ne mettono insieme due e ne saltano fuori quattro o magari sei; ormai ci sono sigle sconosciute al più degli italiani. Sfido chiunque – che non risieda in tale area geografica – ad indovinare a che città si riferiscono le seguenti sigle: BT, FM, MB, VS, OG e VB, tanto per citare le meno note.
Di fatto la proposta non è particolarmente complicata e probabilmente neppure nuova ma cerca di riaffermare il ruolo dei singoli cittadini, i quali hanno il diritto di associarsi in base alle proprie preferenze ed esigenze. In definitiva perché mai un nuovo Licurgo dovrebbe decidere dove il sottoscritto deve risiedere e soprattutto quanto deve pagare per i servizi che gli vengono offerti o, sarebbe meglio dire, imposti? Sono perfettamente conscio che questo progetto è solo un abbozzo ma allo stesso tempo ritengo che la soluzione bottom-up sia quella che permetterà di risolvere i problemi che sorgeranno nel corso del tempo. Inoltre mi preme sottolineare che non ho preso in considerazione impedimenti di natura giuridica, lascio agli esperti ed agli azzeccagarbugli tutte queste considerazioni di lana caprina.
Credo che degli esempi pratici siano il modo migliore per illustrare il progetto. Tramite dei referendum i singoli comuni avrebbero la possibilità di dividersi oppure accorparsi; ad esempio la città di Milano potrebbe perdere i quartieri di Baggio e di Porta Genova che diventerebbero comuni a sé stante, mentre comuni come Corsico o Segrate potrebbero entrare far parte di Milano. Alla stessa stregua i cittadini residenti a Baggio potrebbero chiedere di entrare a far parte del comune di Settimo Milanese, fermo restando che questi ultimi dovrebbero dare il loro assenso. A questo punto le nuove unità territoriali potrebbero decidere se associarsi in province o regioni oppure rimanere indipendenti. Di per sé l’unico limite sarebbe la contiguità territoriale, ossia Treviglio (BG) non potrebbe fare parte del comune di Torino o della provincia di Catanzaro, anche se da un punto di vista teorico nulla impedirebbe una tale soluzione. L’aspetto fondamentale della proposta è che i cittadini delle nuove unità amministrative dovranno fare fronte alle spese tramite le proprie risorse e non vi sarà nessun fondo di solidarietà per aiutare coloro che si indebiteranno. Per esempio i cittadini della nuova città di Porta Genova dovranno farsi carico di pagare i loro amministratori locali e saranno sempre loro che dovranno decidere quali saranno i servizi di cui avranno bisogno (raccolta spazzatura, approvvigionamento idrico, ecc. ecc.) e quanto saranno disposti a sborsare. In questo modo si realizzerebbe un vero federalismo e una vera concorrenza fiscale con una varietà infinita di soluzioni per la gestione della cosa pubblica locale.
Alcuni comuni potrebbero imporre tasse superiori a fronte di maggiori servizi, potremmo vedere il formarsi di grandi aree urbane così come la presenza di piccole entità territoriali e si potrebbero vedere realizzate molte delle idee di Bruno Frey sulla costituzione di distretti fornitori di servizi. Ad esempio il comune di Porta Genova potrebbe associarsi ad altri comuni limitrofi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti contrattando un’impresa privata e dipendere da Milano per l’approvvigionamento idrico, anche in questo caso le soluzioni sarebbero molteplici. In definitiva si consoliderebbero solo le soluzioni più efficienti mentre le altre sarebbero abbandonate in un continuo processo di ottimizzazione. Piccole comunità molto radicate sul territorio potrebbero decidere di rimanere indipendenti e quindi sopportare costi maggiori, altre potrebbero decidere di unirsi o associarsi per sfruttare le economie di scala.
Questo nuovo assetto istituzionale stimolerebbe anche delle nuove forme di offerta di servizi pubblici che attualmente sono sotto la sfera statale, prendiamo ad esempio la sanità, perché un ospedale non potrebbe essere finanziato dalla comunità locale? Anche in questo settore si parla di chiudere ospedali tra loro troppo vicini e che svolgono le stesse attività e quindi sono un costo supplementare per la collettività. Questa decisione però dovrebbe essere presa solo dagli abitanti del territorio una volta che siano consci degli oneri che dovrebbero sostenere.
Se applichiamo questo metodo non è così difficile immaginare quante nuove opportunità si prospetterebbero in futuro, soprattutto grazie alla tecnologia in grado di abbattere i costi di transazione e di informazione. Prima di acquistare una casa chiediamo informazioni sulle spese condominiali, quindi si tratterebbe di sapere quanto dovremmo pagare di “servizi sociali” per risiedere in quel quartiere o in quella città. Magari non ci facciamo caso ma già adesso molte volte dobbiamo sostenere due volte la medesima spesa. Siamo obbligati a versare le imposte ad uno stato inefficiente che non è in grado di fornire neppure i “cosiddetti” servizi di base: sicurezza, sanità ed educazione; pertanto dobbiamo rivolgerci al settore privato per potere usufruire di quelle prestazioni che abbiamo già pagato in anticipo.
Di fatto l’unico vero ostacolo è di puro stampo politico, perché mai i nostri amministratori pubblici dovrebbero abbandonare la loro posizione di predominanza nei confronti di noi sudditi? Perché mai dovrebbero lasciare che fossimo noi stessi a decidere dei nostri interessi? Perché mai dovrebbero perdere i loro privilegi che li mettono al riparo da ogni crisi che loro stessi provocano? Sotto questo punto di vista posso ben affermare che la mia proposta è pura utopia!
E’ bello poter sognare ad occhi aperti! Finché non ci sarà una legge che PUNISCE i responsabili della gestione “allegra” sia esso un Comune , una Asl, una Regione, uno Stato, credo che noi continueremo a sognare. In Toscana, nella inutile provincia di Massa Carrara (poco sopra a 200.000 abitanti, i dirigenti della Asl hanno creato un BUCO di quasi 300 MILIONI di €!!!!, qualcuno dirà, ma non è possibile! invece eccome è possibile. il punto è: che pagheremo noi contribuenti le malefatte di questi furfanti. Perché?, semplice, perché non c’è una legge chiara che dice che chi SBAGLIA, PAGA! e perché non c’è, perché siamo un popolo bue. Forse sono troppo cattivo con me stesso e con i miei connazionali? Qualcuno mi può aiutare a consolarmi?
Concordo ogni singola parola. Basta dare deleghe in bianco il cittadino deve sapere e poter scegliere dove spendere i propri soldi in base ai servizi che riceverà e se non contento avere la possibilità di liquidare e scegliere di nuovo
Io sono d’accordo con la proposta di Lorenzo, che non è una proposta pro casta, ma è una proposta pro responsbilità. In fondo il problema è sempre quello: quando uotto va in un’calderone e per far fronte alle spese che si incontrano si apre un enorme debito pubblico e non esiste sanzione per le decisioni sbagliate che prendi, nessuno ci capisce più niente e tutti reclamano i benefici. Il motto è: abbandoniamo la moneta fiat ed eliminiamo tutte le tasse. Poi gli individui piano piano troveranno le soluzioni comunitarie che più gli aggradano. Quando devono sostenerne i costi, eccome se non si troveranno le soluzioni ognuno secondo la propria taglia!!!!!
Ok, senza guardare:
BT= Barletta?
FM= Fermo?
MB= Monza e Brianza!
VS= boh
OG= Ogliastra?
VB= Verbano-Cusio-Ossola?
Non risiedo in nessuna di queste.
E sono andato a controllare VS (Medio Campidano); non sapevo che sigla avesse, ma conoscevo la provincia del Medio Campidano. Una volta la Sardegna aveva 4 provincie, e pareva bastassero.
Poi è sopraggiunta la necessità di trovare delle sinecure per gli amici et… voilà! Le provincie si sono riprodotte. Per mitosi suppongo.
Ovviamente ci sarà qualcuno che ci assicurerà dell’assoluta necessità di dotare l’isola di nuovi consigli provinciali, più vicini alla gente, di nuovi presidenti, segretari e portaborse vari. Sempre per il bene del “poppolo”. Probabilmente le superpensioni d’oro e le pensioni baby sono anch’esse per il bene del “poppolo”.
Per essere più vicini alla gente, perché non aboliamo per decreto tutte le provincie attuali trasformando ogni comune da Comune, appunto, in Provincia? E le Provincie attuali in Regioni, magari a statuto speciale (tranne quelle che sono in attivo di bilancio, altrimenti…). E così via, le regioni potrebbero diventare Stati sovrani. Questi potrebbero stringere alleanze e creare delle federazioni, le quali tutte insieme andrebbero a comporre la superfederazione Italia. Ovviamente i quartieri e le frazioni diverrebbero comuni, e anche alcuni condomini se di cubatura adeguata.
E’ una proposta sballata?
Ma noooooooooo!
Pensate quanti incarichi pubblici! Avremmo risolto il problema della disoccupazione.
Come dite? Non ci sarebbe più nessuno che lavora? Embé? Chiediamo aiuto alla BCE che stampi un po’ di dollari…
(so che i dollari non li stampa la BCE, e quindi sarebbero falsi. Ma anche quelli della FED lo sono, per cui tanto vale).