Un genio leonardesco rimasto ai suoi tempi sconosciuto, che avesse inventato nel XVII o nel XVIII secolo una macchina per viaggiare nella storia, che ne fosse rimasto imprigionato, senza fare a tempo a comunicare la scoperta ai suoi contemporanei e che fosse stato proiettato all’improvviso nella nostra epoca, rimarrebbe in mezzo a noi sgomento di fronte al modo in cui il potere politico riesce oggi a far accettare una tassazione che si aggira attorno al 65% delle risorse prodotte dai reali produttori e alle modalità – patologiche – con le quali una simile spoliazione viene accettata. In effetti, studiando la storia della tassazione e le formule di legittimazione politica e ideologica inventate nei secoli per giustificarla, c’è da rimanere atterriti di fronte alla leggerezza e al fatalismo con i quali non solo semplici cittadini, ma anche piccoli e medi imprenditori, che in alcune aree del nostro Paese lavorano ormai quasi in perdita, magari per dieci ore al giorno, che fra non molto saranno messi nell’impossibilità di produrre risorse, accettino uno stato di cose del genere.
Qui non si tratta solo di comparazione storica, ma andrebbe aggiunto un test di sanità mentale di coloro che persistono nel lavorare in simili condizioni. Nei secoli precedenti, comunque, una tassazione del 10% è stata sufficiente per scatenare le maggiori rivoluzioni della storia. La forza dell’ideologia dello “Stato dei servizi”, dello “Stato difensore dei più poveri”, dello “Stato sociale”, prodotta dall’onda lunga dello statalismo esploso fra Otto e Novecento, non ha paragoni nella storia.
In base a queste formule il potere politico, supportato da un apparato statale sempre più mastodontico (per ragioni belliche), è riuscito non solo a sviluppare il più spaventoso parassitismo politico che si sia mai visto, ma anche contestualmente ad accampare un proprio “diritto naturale” a disporre delle risorse prodotte entro il proprio chiuso e trincerato ambito territoriale, a trasformare l’investitura politica in un “naturale mandato a tassare”, indiscutibile e “di per sé evidente” e a disporre delle ricchezze private in quantità e con la libertà di gestione più assoluta, che sarebbero state considerate nelle epoche precedenti pura follia e aperta usurpazione, contro le quali sarebbe scattato immediatamente il diritto naturale di resistenza.
Ormai i cittadini sono convinti che i loro redditi siano una concessione del potere politico, al quale hanno accordato la licenza di manipolarli a piacere, favorendo seguaci e servitori, senza discutere né sul merito della destinazione delle risorse prelevate, né sulla loro quantità, che l’orgia del positivismo giuridico e dei diritti di guerra ha trasformato in virtualmente illimitata e non soggetta ad alcun diritto di contestazione. Eppure fino al XVIII secolo la tassazione era sottoposta a consenso (e nella Confederazione Elvetica, non a caso, questo diritto sopravvive fino a oggi): perfino per il maggiore teorico della sovranità, Jean Bodin, si trattava di cosa ovvia.
I cittadini ormai, ammalati di abitudine, pigrizia e credulità, hanno perduto la consapevolezza di essere portatori di diritti naturali indisponibili da parte del potere politico, che si intromette liberamente, senza incontrare ostacoli, nei contratti di diritto privato e nel mercato, alterandone l’efficacia in termini di produzione di valore economico. Ormai ben pochi hanno la consapevolezza che su quanto una persona legittimamente guadagna, senza aggredire gli altri, scambiando prestazioni utili e osservando le regole giuridiche del mercato, né i concittadini né il potere politico possono vantare pretese.
Quasi a nessuno viene in mente che questa situazione è il prodotto dell’espansione abnorme e ormai insostenibile dei compiti auto-attribuitisi dagli Stati e delle loro pretese interventiste – fondate su una presunta e indimostrata “sapienza economica” – a trecentosessanta gradi nell’economia e che solo espellendo il potere politico da ambiti che non gli competono e che ha invaso con la forza e l’inganno, è possibile risolvere il problema. Senza freni a questi mali eminentemente politici, il potere finisce per espandersi senza fine, con le conseguenze in termini di spesa incontrollata e di tassazione senza limiti, dato che i prelievi di ricchezza sono ormai in prima fila fra gli atti di governo. Le maggioranze parlamentari hanno raggiunto risultati, in tema di asservimento completo dei cittadini, che i principi assoluti non si erano mai nemmeno sognati. Chi non appartiene a categorie protette dal potere politico è ormai un suddito taglieggiabile senza alcun diritto di resistenza. La contribuzione fiscale è un dovere indiscutibile e chi lo contrasta è un nemico della Nazione e del progresso.
Non è certo un caso se, soprattutto in questo Paese, le attuali discussioni sulla riduzione della tassazione, diventata ormai insostenibile, qualsiasi sia il fine proclamato per legittimarla, si riducano a tentativi di trovare altri modi surrettizi per sostenerla, trasformandola ma non riducendola e non intacchino minimamente la spesa pubblica e gli sprechi, fonte di legittimazione elettorale e di consenso. Lo Stato moderno giunto a questo stadio è per queste ragioni una macchina impossibilitata a ridurre la spesa e a espandere la tassazione fino a un collasso di civiltà.
*Tratto dalla rivista Liber@mente
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[…] scrive anche in questo ottimo articolo Alessandro Vitale , di questo passo, seguendo le soluzioni finora proposte dai burocrati, dai […]
un bel testo, chiaro, ampio e deciso. grazie!
ottimo, davvero ottimo articolo! combinato con i disastri della politica monetaria, siamo davvero vicini a un collasso della civilità! che ne uscirà lo scopriremo solo vivendo (sperando di non far parte dei morti che sempre si accompagnano alla morte del denaro).
Purtroppo con il perpetuarsi dell’abitudine ad adeguarsi al peggio, ad un autoritarismo vessatorio di tipo politico governativo si è controbilanciato una infondata ed ormai patologica proiezione di autorevolezza da parte dei cittadini, cioé gli stessi cittadini si sono ridotti al ruolo di sudditi privi di diritti e proni al potere statale, rinunciando alla propria dignità e libertà. LE cose rimarranno così fino alla peggiore delle ipotesi, il fallimento dello stato, e il gregge reagirà solo quando sarà ridotto alla fame, perché i parassiti imbecilli e farabutti che ci governano non sapranno neppure volendo, prendere quei provvedimenti necessari per impedire che si giunga alle estreme conseguenze, cioé alla riduzione alla fame della popolazione, regredendo ad una economia di susttistenza, come nell’alto medioevo
Bellissimo.
Alessandro: scrivi ancora e di più, ti prego!
…bastava rileggere la storia …La caduta dell’impero Romano ! Nulla di nuovo sotto il sole.
I PARASSITI SUPERANO I PRODUTTORI DI RICCHEZZA… CI SIAMO!