Nella sua risposta a un lettore «Necessaria per ragioni morali l’ abolizione delle Province (Corriere, 24 giugno), lei notava che «non esiste, che io sappia, uno studio accurato sui risparmi che lo Stato ricaverebbe dalla soppressione» delle Province. Le inviamo un nostro libro uscito un paio di anni fa, che contiene una proposta di riforma e, contestualmente, uno studio crediamo accurato e ragionale sui risparmi che potrebbero derivare dall’ abolizione delle Province. Alberto Mingardi Direttore generale Istituto Bruno Leoni Torino Caro Mingardi, L ei mi ha segnalato un libro molto utile. S’ intitola «Abolire le province», è stato pubblicato nel 2008 dagli editori Rubbettino e LEONARDO FACCO EDITORE, e contiene, a cura di Silvio Bocalatte, saggi di diversi autori.
Alcuni capitoli, in particolare, confrontano il sistema amministrativo italiano con quelli della Spagna, della Germania e della Gran Bretagna.
Ho appreso leggendolo che il dibattito sulle province accompagna la Repubblica sin dal momento della sua nascita. All’ Assemblea costituente il partito di coloro che volevano abolirle era guidato da un grande economista, Luigi Einaudi, e da un illustre costituzionalista, Costantino Mortati. Il primo avrebbe voluto sostituirle con un consorzio tra comuni o con una circoscrizione intermedia non obbligatoria; il secondo con un consorzio obbligatorio «più ristretto della provincia e più omogeneo».
La loro posizione sembrò convincere la maggioranza e il risultato fu la proposta di un articolo in cui sarebbe stato scritto: «Il territorio della Repubblica è ripartito in regioni e comuni. La provincia è una circoscrizione amministrativa di decentramento regionale». Ma quando l’ articolo venne in discussione in aula gli abolizionisti furono sconfitti da coloro che preferirono lasciare le cose com’ erano e, soprattutto, dal lavoro di lobby dell’ Unpi (Unione province italiane). Il problema divenne nuovamente attuale quando il Parlamento, verso la fine degli anni Sessanta, cominciò ad approvare le leggi che avrebbero permesso il funzionamento delle regioni a statuto ordinario.
Si sapeva che le province avrebbero perduto molte delle loro funzioni e Ugo La Malfa, in particolare, sostenne che «il riformatore deve avere il coraggio di innovare tagliando». Ma anche in questo caso il partito conservazionista finì per prevalere e le province, benché private di molte delle loro funzioni originarie, resistettero alla falce della riforma. Da allora, se possibile, le cose sono peggiorate. Come ricorda Luigi Ceffalo, l’ istituzione del sistema sanitario nazionale ha tolto alle province «le residuali competenze in ambito sanitario quali l’ assistenza degli alienati e la conduzione di laboratori di igiene e profilassi». Più tardi, è vero, alle province fu chiesto di collaborare all’ elaborazione del piano regionale di sviluppo e di adottare un piano territoriale di coordinamento. Ma temo che questa disposizione abbia avuto l’ effetto di rendere la macchina amministrativa ancora più complicata e ingombrante.
Nel capitolo scritto da Andrea Giuricin vi sono infine molti dati relativi ai costi. Sulla base di cifre che risalgono al 2005 le province comportano spese per circa 16 miliardi di euro, di cui più di un miliardo e cento milioni andrebbero al loro personale politico: presidenti di Giunta, vice-presidenti, assessori, consiglieri e presidenti del Consiglio. Mancano invece, come ho scritto nella risposta precedente, i calcoli sul costo della loro soppressione. Ma questi potranno essere fatti soltanto quando il governo, se deciderà di proporne la soppressione, ci dirà come intende disporre degli immobili e del suo personale amministrativo.
RISPOSTA DI SERGIO ROMANO AD UN LETTORE SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 28 LUGLIO 2011
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Paolo, tu puoi non avere dubbi, però, purtroppo in Italia le leggi le fanno coloro che non conoscono l’argomento su cui legiferano. Almeno questa è la mia impressione. Se per anni qualcuno ha stabilito che chi ha difficoltà motorie debba recarsi nel capoluogo di provincia per sottoporsi alla stessa visita che chi “salta i fossi per la lunga” può tranquillamente effettuare vicino a casa, accampando ogni genere di scuse, chi mi garantisce che poi non si stabilisca di mandare tutti i lombardi con difficoltà motorie a Milano, per una visita di 5 minuti? Quando si tratta di risparmiare, abbiamo visto che la casta è molto brava a tagliare i servizi. Prima di plaudire all’abolizione delle provincie, voglio essere sicuro che certi servizi siano demandati ai comuni e non alla regione. Altro punto: che ne facciamo dei dipendenti delle provincie? dove li mettiamo a lavorare? Se spostiamo i dipendenti delle provincie (perché non possono essere licenziati) dove sta il risparmio derivante dall’abolizione delle provincie?
ti chiedo scusa, Fabrizio, gli attuali servizi (pochissimi e costosissimi) delle inutili province, saranno demandati sia alle regioni che ai comuni. E’ fuori dubbio che i servizi al cittadino (vedi porto d’armi, visite, saranno demandati ai comuni). Tutte le risorse che si libereranno (qualche miliardo di €!!) si spera che saranno investite in servizi alle comunità. Anche se sono un pò scettico, nei confronti della maggioranza degli italiani, credo che, con i tempi che corrono, le scelte saranno obbligate, verso i settori che ho detto prima. Un caro saluto Paolo
Mi sembra che di SPRECHI, l?italia, con i i soliti politici, ne ha in abbondanza. Credo che il signor Roberto debba stare tranquillo, le province sono uno SPRECO ENORME, e lei si troverà molto meglio, perché il suo rinnovo potrà avvenire nel suo Comune. Non dia retta ai “politici, perché il loro tornaconto è lo status quo.
se ti riferisci a me, mi chiamo Fabrizio e non Roerto, caro Paolo.
Io, prima di restare tranquillo voglio vedere che accade e voglio che mi si spieghi a chiare lettere cosa accadrà agli attuali servizi offerti dalle provincie. Esigo che qualcuno scriva se passeranno ai comuni o alle regioni. Resta un dubbio: chi si prenderà la briga di questi compiti lo farà con l’attuale personale o sarà assunto qualche altro dipendente?
Io non sono un tecnico e non ho la possibilità di stabilire l’eventuale risparmio con l’abolizione delle provincie. Tuttavia, l’unica mia preoccupazione è che le funzioni delle provincie non siano demandate al capoluogo di regione, ma semmai, siano ripartite tra i comuni che fanno parte della stessa provincia. Faccio un piccolo esempio personale, visto che tra qualche giorno mi tocca. Come automobilista con disabilità debbo sostenere l’esame per la conferma dei requisiti psifisici e sensoriali alla guida, nel capoluogo di provincia, invece che “sotto casa” come per tutti gli altri patentati. Ho sicuramente maggiori difficoltà motorie di tanti altri automobilisti e, il fatto che mi si mandi più distante per lo svolgimento della stessa visita che chi cammina correttamente, svolge sotto casa, mi pare già una discriminazione. Pensate poi, se da Sondrio, o da Mantova ci si dovesse recare a Milano! L’unica mia preoccupazione dunque è che, per ottimizzare i costi, i cittadini non siano costretti a percorrere centinaia di chilometri. Nell’era dell’informatica e di internet sarebbe veramente uno scherzo di cattivo gusto!
SE si vuole apprendere dalla storia e cercare pragmaticamente di applicarla all’attualità con intelligenza e tenendo conto di un indispensabile approccio multifattoriale e multidisciplinare, dovremmo tornare a costituire ambiti locali assai ristretti ircalcanti gli ex stati preunitari, i feudi imperiali, le contee e giursdizioni dei liberi comuni, ecc, che non sono storia passata, morta e sepolta, ma che culturalmente sono ancora attivi, eccome se lo sono, vi sono tracce evidenti di questa realtà medievale e rinascimentale ancora viva ed in fermento. Quindi occorre una “cantonalizzazione” del territorio italiano (distretti o consorzi intercomunali), fornendo loro ampia autonomia, MA PRIMA BISOGNA SBATTERE FUORI LA LEGA DA LLA POLITICA DI GOVERNO, perché di storia non sanno una beata mazza, pensano che Alberto da Giussano sia un personaggio storico (non è mai esistito) e credono di aver realizzato il federalismo (Gianfranco Miglio si rivolterà nella tomba), mentre sono statalisti reazionari ed autoritari liberticidi