“Il mondo del lavoro necessita di giovani laureati con un percorso formativo di qualità, che non si ottiene con l’abolizione del valore legale del titolo di studio e con la concorrenza tra atenei ma con la definizione di un reale sistema di controllo della qualità e dell’efficacia degli insegnamenti impartiti.” (M. Calderoni)
Marina Calderoni presiede l’ordine dei consulenti del lavoro. Dopo essersi scagliata contro la liberalizzazione delle professioni cosiddette liberali (una delle tante contraddizioni italiane: si definiscono liberali delle attività il cui esercizio è proibito a chi non è iscritto a un ordine corporativo), dice la sua in merito alle misure necessarie per migliorare le prospettive dei giovani laureati.
A suo parere, la qualità della formazione non si otterrebbe con l’abolizione del valore legale del titolo di studio e con la concorrenza tra atenei, bensì “con la definizione di un reale sistema di controllo della qualità e dell’efficacia degli insegnamenti impartiti”.
Premesso che solo per i concorsi pubblici il titolo di studio mantiene un suo effettivo valore legale (e questa è saolo una delle pecche dei concorsi pubblici), credo che l’onere della prova della sua utilità sia a carico di chi, come Calderoni, si ostina a non volerlo abolire. Nel settore privato questa finzione non regge da tempo (giustamente).
Tanto per fare un esempio, credo che nessuno, trovandosi a scegliere tra bottiglie da un litro di olio extravergine di oliva prodotte da aziende diverse, le considererebbe identiche. Un principio del tutto ovvio, che non vedo per quale motivo non dovrebbe valere anche per le lauree in economia o in fisica ottenute in diversi atenei, a parità di curriculum e voto di laurea.
Ma Calderoni non si accontenta di difendere l’anacronistico valore legale del titolo di studio; sostiene perfino che sia meglio definire “un reale sistema di controllo della qualità e dell’efficacia degli insegnamenti impartiti” invece che favorire la concorrenza tra atenei.
Il fatto è che la concorrenza è il più efficace metodo per valutare la qualità degli insegnamenti. Quand’anche una commissione pubblica stabilisse che l’ateneo A forma laureati migliori dell’ateneo B, sarebbe sempre il mercato del lavoro ad avere l’ultima parola. E i segnali forniti dal mercato del lavoro sono molto più utili per chi deve scegliere a quale ateneo iscriversi rispetto alle valutazioni di una commissione pubblica.
Un processo di valutazione pubblica credo che finirebbe per avere costi molto superiori ai benefici: sarebbe l’ennesimo baraccone ministeriale di cui, francamente, credo non sentano la necessità né i contribuenti, né gli studenti, né le imprese.
Intanto le aziende preferiscono assumere giovani laureati inesperti, invece che semplici diplomati con anni di esperienza sulle spalle? Perché anche il sistema delle assunzioni non quadra, allora!? Quindi, se aboliamo il valore legale delle lauree, come faranno le aziende ad assumere? in base a quali criteri? Ironia della sorte, quando cercavo lavoro (nel lontano 1978) mi sentivo chiedere dai “cervelloni” che allora si chiamavano capi del personale (oggi invece capi delle risorse umane…che ridere!) quale esperienza avessi. Al che una volta risposi ad uno di essi, chiedendogli a mia volta se fosse sufficiente aver sognato questa benedetta esperienza che nessuno voleva farmi fare! Ora, se mi rispondete che le aziende sarebbero ben contente di assumere anche chi non è laureato, come spiegate il fatto che la laurea sia richiesta da esse?
Una rappresentante delle professioni liberali contro il liberalismo ed il mercato: adesso trovo logico l’imperversare del socialismo nella società!
Che bello! E chi controlla i controllori? I vari ordini professionali nati per distribuire posti di potere, appositi esami, … ? Ché, a mio avviso, se siamo nella merda in Italia (scusate, ma quando ci vuole ci vuole) buona parte è dovuto alle assunzioni pubbliche per le quali fanno testo i punteggi di uscita dalle scuole “pubbliche”.
Chi ha voglia, si vada a cercare Il cittadino ignoto di W. H. Auden.
Siamo nel 1940… ma sembra calzato perfettamente al dominante pensare della politica moderna.
Credo che, più semplicemente, la Calderoni tema che dalla eliminazione del valore legale dei titoli di studio si possa facilmente passare alla eliminazione degli ordini professionali tra i quali quello che lei dirige è uno dei più ridicolmente inutili (per noi cittadini comuni) ma utilissimo per la corporazione.
“La definizione di un reale sistema di controllo della qualità e dell’efficacia degli insegnamenti impartiti.”
Come dire: “quest’olio di oliva è di qualità perché lo dice il sistema di controllo”.
Come dire: “questo lavoratore è bravo perché lo dice il sistema di controllo”.
Come dire: “questa vacanza è bella perché lo dice il sistema di controllo”.
Come dire: “questa medicina fa bene perché lo dice il sistema di controllo”.
… forse la Calderoni ci pensa o ci vuol far diventare dei robot lobotomizzati.