“Io non voglio più andare in onda perché lo decidono i giudici e se avessi vinto in Cassazione, cosa che io ritenevo sufficientemente certa, sarebbe stata un’ulteriore sconfitta perché nessuno avrebbe riconosciuto che ero della Rai. Annozero è finito a Milano e a Napoli. Le persone hanno smesso di essere spettatori. Vogliono decidere e saranno loro a decidere domenica e lunedì.” (M. Santoro)
Ho riportato uno stralcio del sermone tenuto da Michele Santoro durante l’ultima puntata di Annozero (che, peraltro, non ho visto), non perché intenda commentarne i contenuti, bensì per esprimere alcune considerazioni sulla Rai.
Il caso di Santoro e di altri conduttori “di parte” mi rafforza nella convinzione che lo Stato non dovrebbe essere proprietario di mezzi di comunicazione. Solitamente la critica da destra ai programmi di Santoro e simili è che non si dovrebbe usare il canone dei cittadini per finanziare trasmissioni smaccatamente di sinistra. In effetti è vero, ma lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto simmetricamente da una persona di sinistra. E non è che quelli di destra non abbiano piazzato in Rai conduttori “amici”; semplicemente gli ascolti hanno finora premiato di più Santoro e altri giornalisti orientati a sinistra.
Ciò consente a Santoro di sostenere che lui non viene finanziato dal canone, ma che gli introiti generati dalle sue trasmissioni servono a finanziare anche programmi flop voluti dall’attuale maggioranza di governo.
E’ del tutto probabile che se passasse a un’emittente privata, come già fece in passato andando a Mediaset, Santoro otterrebbe gli stessi ascolti.
Il punto è che, piaccia o non piaccia, i suoi programmi hanno una domanda nel mercato italiano dei prodotti televisivi.
Io non credo che la soluzione del problema risieda nella ricerca di contrappesi o nella pretesa che un conduttore sia perfettamente neutrale.
Il problema risiede nel fatto stesso che lo Stato sia editore e, come per ogni altro servizio che offre, imponga ai cittadini di finanziare la Rai mediante il canone.
Se la Rai fosse privatizzata, non ci sarebbe più la necessità di discutere sulla faziosità di questo o quel giornalista, e nessuno sarebbe obbligato a finanziare emittenti nel cui palinsesto ci fossero programmi che non gradisce.
Ammesso che reggesse nel dopoguerra, nel XXI secolo non credo abbia più alcuna ragion d’essere la difesa del servizio pubblico come mezzo per garantire la pluralità e l’accessibilità dell’informazione. La Rai andrebbe privatizzata, il che, tra l’altro, alleggerirebbe il fardello a carico del contribuente. Un buon motivo, quest’ultimo, per dubitare che ciò avvenga in un futuro prevedibile, anche se a parole i politici sostenitori della privatizzazione sono tanti.