La rabbia nasce tutta da un numero che lui ritiene una clamorosa presa in giro: 31,4%. Secondo l’Agenzia delle Entrate la tassazione sul reddito d’impresa raggiungerebbe questo valore percentuale. Lui, Fabrizio Castoldi, 70 anni, presidente del gruppo Bcs, 800 dipendenti, attivo nella produzione di trattori agricoli (dà lavoro a mezza Abbiategrasso, provincia di Milano), ritiene si tratti di un numero totalmente fuori dalla realtà perché prende in considerazione soltanto i coefficienti iniziali (cioè la somma dell’Ires al 27,5% e Irap al 3,9%). Anzi in questo dato rinviene persino un raggiro nei confronti degli investitori esteri che immaginano sia il dato puntuale della pressione fiscale nel nostro Paese. Per suffragare la tesi ha elaborato un prospetto – uscito dal suo ufficio contabilità – che potete vedere qui.
Il documento
Documento che evidenzia come l’imposizione fiscale sia nettamente superiore perché l’Irap – l’imposta regionale sulle attività produttive (pur rivisitata ora con la legge di Stabilità che ha azzerato la componente del costo del lavoro) – varia dal 3,9% al 4,9% a seconda della regione. A cui aggiungere l’Imu (non calcolata dalle Entrate), tassa comunale/statale che grava su capannoni e immobili industriali, in una variabile compresa tra lo 0,46% fino all’1,06% sul proprio imponibile a seconda delle necessità di cassa del municipio di appartenenza. A cui sommare anche l’Ires fissata al 27,5%. Il conto sarebbe finito qui se non fosse che sull’Irap si applica anche il 70% della componente Imu più gli interessi passivi solo al di sopra di una certa soglia (il 30% del margine operativo lordo più ammortamenti, più il leasing, più l’80% dei costi auto) e anche il costo del lavoro dipendente a tempo determinato (cioè coloro i quali svolgono attività occasionali e i lavoratori a progetto). «Le tasse in Italia non aumentano in funzione del reddito, ma in funzione dei posti di lavoro», dice adirato Castoldi. Tesi che suggerisce di portare la produzione all’estero: «Per produrre i trattori ho bisogno di macchinari – spiega – quindi un capannone dove sistemarli e un terreno su cui mettere il capannone, infine gli operai per far funzionare i macchinari. In sostanza creo posti di lavoro. Peccato che su tutte queste componenti lo Stato mi tassa proporzionalmente: più produco, più pago imposte all’erario, secondo una logica distorta». Il corollario è produrre oltre confine, delocalizzare. Con il rischio di lasciare 800 famiglie sul lastrico. (tratto da www.corriere.it)
TABELLA (clicca e ingrandisci)
Delocalizzi e scappi appena può! Produrre in Italia è un suicidio, significa offrire la gola al coltello dello stato.